- In termini reali, i prezzi dei carburanti e i pedaggi non aumentano molto, ma colpiscono soprattutto i consumatori
- Le accise dal punto di vista ambientale sono una tassa corretta e importante, mentre certo non è così per i pedaggi autostradali, frutto di un comportamento pubblico ingiusto e indifendibile
- Per combattere l’inflazione è probabilmente opportuno ridurre gli aumenti, ma è certamente meglio colpire quelli autostradali più di quelli sulle accise sui carburanti, ambientalmente “virtuosi”
In termini reali, cioè al netto dell’inflazione che viaggia sopra il 10 per cento, sia il prezzo dei carburanti che i pedaggi autostradali crescono molto poco, nonostante il clamore mediatico contrario: la benzina cresce dello stesso ordine dell’inflazione (18 centesimi su prezzi medi intorno ai 1,7 euro al litro), i pedaggi autostradali (2,5 per cento) ancor meno, ma è previsto un secondo aumento a metà anno.
Ma è certo che questi aumenti contribuiscono in modo particolare all’inflazione, perché attraverso il trasporto merci, colpiscono tutti i beni per i consumatori finali, mentre le imprese hanno molti più mezzi per difendersi.
Vediamo le due voci un po' più da vicino. Le accise e l’Iva sui carburanti formano più della metà del loro costo di produzione (variabile con i prezzi del petrolio e con le strozzature nei processi di raffinazione, problema rilevante perché dalla Russia arrivavano anche prodotti semiraffinati).
Si tratta di una tassazione che si può definire più che accettabile, perché ha un valore per unità di emissioni dello stesso ordine di grandezza dei costi ambientali definiti dalla Commissione europea, cioè “internalizza” buona parte dei costi sociali del trasporto stradale (più per le auto e meno per i camion).
E questo pur con gli elevati standard ambientali europei, molto più severi di quelli medi mondiali. Inoltre questi standard europei sono previsti in crescita ulteriore, quindi davvero non sembra saggio in termini ambientali ridurre queste accise, nonostante l’Istat abbia stabilito che questa tassa sia regressiva, cioè colpisca relativamente di più le categorie a reddito inferiore.
Il problema pedaggi
L’accettabilità degli attuali pedaggi autostradali è invece oggetto di perplessità molto maggiori. Il principale concessionario autostradale, AspI, che è titolare di più di metà della rete nazionale a pedaggio, ma gestisce il 75 per cento del traffico, ha goduto di tali rendite in passato (più del 12 per cento di profitti annui garantiti sulle risorse investite) che gli utenti hanno sicuramente ammortizzato la rete che percorrono.
Tuttavia il nuovo padrone pubblico, Cassa depositi e prestiti, affiancato al 49 per cento da privati, mantiene pedaggi tali da garantirgli anche il recupero della “buonuscita” miliardaria garantita ai padroni precedenti, che pure avevano provocato il crollo omicida del ponte di Genova. Considerazioni di equità richiederebbero che infrastrutture già ammortizzate divengano gratuite, come è successo per un’importante autostrada spagnola.
Anche in termini di efficienza, pedaggi che recuperino i costi di investimento delle infrastrutture diminuiscono il benessere collettivo, anche se qui non è possibile dilungarsi sul tema (si tratta di “monopoli naturali”). Si tenga conto, tornando agli aspetti ambientali, che non sono le infrastrutture che inquinano, ma chi ci passa sopra.
L’impatto sull’inflazione
Questo però per chiarire la differenza tra i due aumenti in corso, ma oggi il tema da affrontare è indubbiamente il loro impatto sull’inflazione, tassa implicita profondamente ingiusta, che colpisce i cittadini due volte, una prima con i prezzi elevati, e una seconda con lo slittamento verso l’alto delle aliquote fiscali (noto come “fiscal drag”).
Innanzitutto sgomberiamo il campo da un noto mito che emerge sempre in caso di aumento dei prezzi dei carburanti: “se ci fosse meno traffico merci sulle strade e crescesse la quota per ferrovia il problema sarebbe meno grave”.
Il traffico merci per ferrovia in tutta Europa è dell’ordine del 10 per cento in termini di quantità, ma inferiore al 5 per cento in termini di fatturato.
In Italia siamo intorno al 2 per cento, quindi anche raddoppiando (a costi pubblici altissimi) il traffico ferroviario, l’impatto economico di questo cambio modale sarebbe limitatissimo.
Comunque, è sensato usare queste tariffe per combattere l’inflazione? Cioè la leva delle tariffe amministrate è migliore degli strumenti macroeconomici che hanno come effetto spinte recessive sull’intero sistema economico?
Probabilmente sì, proprio nella misura in cui l’effetto di questi aumenti colpisce direttamente il paniere dei consumi delle famiglie, cioè ha contenuti fortemente regressivi, mentre gli effetti sociali di un rallentamento complessivo dell’economia hanno impatti più diffusi.
Ciò sempre tenendo in mente tuttavia sia che gli sconti tariffari sui carburanti hanno impatti ambientali negativi, e che sarebbe comunque preferibile, anche in termini di equità intervenire sui pedaggi autostradali.
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