Perché il salario minimo fa così paura a questa destra? Solo sciatteria o scelta consapevole? La moderazione salariale è una strada che questa destra ha delineato nero su bianco nel Def come leva per combattere i rischi di esplosione del deficit
Non serve Chi l’ha visto per scoprire la fine dell’iter legislativo sul salario minimo. Una destra senza idee sulla questione sociale voleva solo togliersi un impaccio che per mesi l’ha fatta arrancare nel rapporto con il suo elettorato più popolare: la proposta unitaria delle opposizioni (Pd, M5s, Avs, Azione, Più Europa) di introdurre per legge, come in 22 paesi dell’Unione europea su 27, un salario minimo di 9 euro lordi.
Dall’avvio dell’iter parlamentare alla Camera, l’ossessione di Giorgia Meloni è stata sempre sabotarla fino a cancellarla dall’agenda: in dodici mesi di dibattito parlamentare è ricorsa a una politica di rinvii, sospensive e mosse truffaldine per fare di una proposta delle opposizioni una blanda delega al governo.
Scompariva strumentalmente la locuzione “salario minimo”, ma si evocava il solco dell’art. 36 («Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa») tramite adozione di politiche che lo realizzassero nella “contrattazione collettiva”, come magicamente suggerito dal Cnel cui Meloni aveva affidato la soluzione della controversia: una leva per smontare l’impianto delle opposizioni.
Ministra o consulente
Non importa se in quella delega si parlava di contratti più diffusi e non di contratti comparativamente più rappresentativi: la destra vede come fumo negli occhi una legge sulla rappresentanza che spazzerebbe via i contratti capestro di “sindacati gialli” per fare dumping.
Dopo nove mesi dal voto della Camera – il primo dicembre 2023 – al Senato non è iniziata nemmeno un’audizione sulla delega ottenuta dal governo. Dunque, quella delega – che ha durata semestrale – non è ancora nelle mani della ministra Calderone. Che non batte ciglio, anche perché sembra ben identificarsi nel ruolo di consulente occasionale di Palazzo Chigi, perfino subordinata al Cnel, e non di ministra del Lavoro.
Si sono persi oltre quindici mesi per affrontare quella che persino la destra considerava un’emergenza: le retribuzioni giuste e adeguate dei working poors. Non escludo si vada oltre, visto che alla commissione Lavoro del Senato l’iter di discussione sulla ex legge del salario minimo partirà con le audizioni dopo la prima metà di settembre e non arriverà in aula probabilmente prima di gennaio, vista la priorità della legge di bilancio.
Non c’è indicatore per cui il problema della qualità del lavoro non sia strettamente legata alla qualità e alla quantità dei salari. L’Italia, secondo Ocse, è il paese più fermo dopo la pandemia: meno 7 per cento del potere d’acquisto rispetto al quarto trimestre del 2019. Si può aggiungere che l’Eurostat descrive una flessione del reddito reale delle famiglie. Aver detto no al salario minimo è aver dato uno schiaffo a un’evidenza: alzando i salari più poveri, i consumi ripartono e crescono le entrate fiscali.
Fare come in Germania
Il Forum Ambrosetti spiega che l’introduzione del salario minimo in Germania ha dimezzato il gender pay gap tra donne e uomini e ridotto le disuguaglianze tra i diversi settori produttivi, che in Italia si allarga anche per l’impennata dei part-time involontari che colpiscono soprattutto giovani e donne.
L’Ocse conferma che l’introduzione del salario minimo ha aiutato paesi come Germania, Francia e Spagna nella fase della crescita inflazionista, mettendo al riparo il potere d’acquisto dei lavoratori più poveri. Solo in Italia latita qualsiasi politica dei redditi, compresi i rinnovi contrattuali di settori decisivi come edili, metalmeccanici, chimici, ferrovieri; o del pubblico impiego, dove il governo è più preoccupato di eliminare il tetto dei supermanager a 240mila euro e portare l’età pensionabile a 71 anni che a rinnovare il contratto di 3 milioni di dipendenti.
Il tema non sono solo i 3,5 milioni sotto i 9 euro lordi, ma gli oltre 7 che guadagnano meno di 13mila euro annui perché schiacciati nella morsa della precarietà e dell’intermittenza. Le opposizioni sono impegnate nella raccolta firme per un’iniziativa di legge popolare sul salario minimo – che è anche on line sul sito salariominimosubito.it collegato al ministero dell’Interno – per riportare di nuovo in discussione la legge in parlamento.
Perché questo ritardo? Perché il salario minimo fa così paura a questa destra? Solo sciatteria o scelta consapevole? La moderazione salariale è una strada che questa destra ha delineato nero su bianco nel Def come leva per combattere i rischi di esplosione del deficit. Immaginano davvero di fare competitività con salari bassi, tutele precarie e poca innovazione? Una suggestione da apprendisti stregoni. Nel frattempo niente salario minimo, meglio perdere ancora tempo.
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