La premier, emarginata nell’Unione europea, va in Cina nel momento di massima difficoltà della sua strategia internazionale. Ma le opposizioni farebbero bene a non illudersi: è improbabile che cada per questi motivi. Per avere qualche possibilità occorre avere una agenda chiara, di lungo periodo, centrata sui bisogni dei cittadini e sull’interesse nazionale
La visita di Giorgia Meloni in Cina arriva nel momento di massima difficoltà della sua strategia internazionale: nel peggiore isolamento del suo (del nostro) governo. In meno di un mese la premier si è ritrovata priva del suo principale alleato in Occidente (il premier conservatore inglese Rishi Sunak, rovinosamente sconfitto a inizio luglio); ha perduto le due principali scommesse politiche, la vittoria dell’estrema destra in Francia e lo spostamento a suo favore degli equilibri europei (in entrambi i casi, si è andati nella direzione opposta); quindi è finita emarginata nell’Unione Europea, come mai era successo nella storia d’Italia, e per sua colpa, votando contro la nuova Commissione; per giunta il suo gruppo all’europarlamento è andato in frantumi.
Poteva forse sperare di ricollocarsi come principale alleata occidentale di un Trump trionfatore, a novembre, ma anche la vittoria del tycoon, che prima era probabile e dopo il fallito attentato sembrava sicura, è adesso altamente incerta (e questa incertezza grava anche, inevitabilmente, sui risultati della sua visita in Cina). E se poi a spuntarla saranno i Democratici, come finalmente è possibile, Meloni si ritroverà ancora più isolata, con una presidente, Kamala Harris, anche lei donna, che si delinea però agli antipodi da lei, nell’immagine e nelle politiche (dal clima ai diritti civili; ed è figlia di immigrati).
Rottura difficile
Tuttavia, è improbabile che Meloni cada sulle questioni internazionali. Le opposizioni farebbero bene a non illudersi. Anche i litigi interni alla maggioranza, che sono certo aumentati anche in conseguenza di quel che è successo in Europa, difficilmente porteranno alla rottura, per il semplice fatto che a Tajani e Salvini conviene restare al governo (anche elettoralmente, lo dimostra proprio il voto in Europa).
Il consenso di Meloni rimane forte nel paese, e nel Parlamento, e se le pressioni e le critiche internazionali aumenteranno, come già sta avvenendo, alla fine l’esito più probabile sarà una chiusura a riccio del suo governo e della sua maggioranza. Con danni enormi per il nostro paese, dall’economia alle libertà fondamentali; il rischio di una deriva ungherese.
Se questo è lo scenario, le opposizioni non devono commettere l’errore, di nuovo, di mettersi a inseguire formule politicistiche, sganciate dai problemi reali, o peggio opportunistiche. Al contrario, occorre avere una agenda chiara, di lungo periodo, centrata sui bisogni dei cittadini e sull’interesse nazionale: la coalizione si va formando, passo dopo passo, a partire dalle battaglie concrete, nel vivo della società.
Un buon esempio è la mobilitazione contro l’autonomia differenziata, che poi vuol dire lotta per una pubblica amministrazione e per servizi sociali all’altezza di un grande paese avanzato, in tutta Italia; qui infatti, con il consenso, sono arrivate anche le alleanze (e si sta spaccando perfino il centro-destra). Lo stesso vale per il salario minimo, o per la sanità pubblica, o per i diritti civili: temi di cui si è fatto carico soprattutto il Pd, ma aggregando grazie alla loro presa più ampia.
Orizzonte comune
Non è peraltro necessario che tutti siano d’accordo su tutto, sempre (non avviene mai, in nessun paese). Quel che conta davvero è avere un orizzonte ideale, in comune, alternativo a quello della destra. Questa idea di base, condivisa ormai dalle forze democratiche e progressiste in gran parte del mondo libero, è che l’economia e la tecnologia devono essere governate, per ancorarle ai diritti sociali e civili, all’ambiente, alla difesa della democrazia.
E se la destra abbraccia l’autoritarismo pur di preservare le ingiustizie economiche e sociali, il campo progressista, all’opposto, sceglie di combattere le disuguaglianze e in questo modo vuole rafforzare la democrazia, estendere i diritti, fortificare l’economia e la società. In Italia, è soprattutto al Pd che spetta il compito di promuovere questa prospettiva ideale, che unisca le diverse battaglie e sappia mobilitare anche al di là di singoli temi: la strada da percorrere. Il resto verrà di conseguenza.
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