- Il gruppo dirigente dell’Anpi ha inteso esternare la preoccupazione che il rafforzamento del dispositivo militare dell’Ucraina determini non soltanto un prolungamento e una intensificazione del conflitto, ma anche una sua estensione, foriera di esiti catastrofici.
- Come si fa a vedere in questa opinione l’implicita negazione del diritto all’autodifesa del popolo ucraino, o addirittura un sottinteso appello alla resa? Suvvia!
- Secondo il professor Vassallo, l’Associazione avrebbe subito una mutazione genetica, riducendosi a un ricettacolo di reduci della sinistra comunista e postcomunista. Ebbene, questa rappresentazione è non soltanto falsa, ma tradisce fors’anche un segreto auspicio.
Sarebbe sforzo vano, oltre che impari, ribattere colpo su colpo al fuoco incrociato che da settimane ha assunto a bersaglio l’Anpi per le sue valutazioni sulla guerra in Ucraina. Ogni tentativo di civile confronto delle idee si infrange infatti contro il muro del pregiudizio fazioso che anima gli attacchi virulenti mossi all’Associazione dei partigiani da parte delle corazzate del sistema dell’informazione.
L’articolo ospitato martedì sul vostro quotidiano dal professor Salvatore Vassallo merita però un’eccezione, vuoi per il prestigio accademico e per la rilevante esperienza politica dell’autore, vuoi per la capziosa interpretazione da lui fornita delle ragioni reali – e inconfessate – che sarebbero alla radice delle valutazioni dell’Anpi sul conflitto in corso: al netto di alcune dimenticanze e – mi sia consentito – anche di qualche manipolazione, in cui pure il professor Vassallo incorre, e che non vi è modo di segnalare nel dettaglio.
Partiamo da un dato incontrovertibile: l’Anpi ha da subito, senza riserve e ambiguità, condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Ma la ricostruzione, necessariamente sommaria, degli eventi che l’hanno preceduta e del contesto in cui si colloca, ha indotto molti autorevoli opinionisti a iscrivere d’acchito l’Associazione allo schieramento dei “né-né”, e ad affibbiarle la taccia di malcelato filoputinismo.
La posizione
Eppure se tanti superciliosi critici si fossero dati la briga di leggere attentamente il documento congressuale dell’Anpi e la relazione del presidente uscente, Gianfranco Pagliarulo, all’assise di Riccione, avrebbero trovato smentita alle loro strumentali illazioni.
Nel documento è infatti paventato il rischio che il disordine mondiale succeduto alla fine della divisione del mondo in blocchi politico-militari contrapposti, ovvero la mancata definizione di un assetto multipolare, la sopravvivenza di logiche di potenza e di ambizioni imperiali, la crisi profonda degli organismi preposti alla regolazione delle controversie internazionali (a cominciare dall’Onu, la cui paralisi è sotto gli occhi di tutti), avrebbe provocato tensioni crescenti e potenzialmente suscettibili di sfociare in uno scontro armato di ampie dimensioni, e dalle conseguenze incalcolabili.
Entro tale quadro, nella sua relazione al Congresso, Pagliarulo ha chiarito che l’analisi degli antefatti della guerra (primo fra tutti il conflitto nel Donbass, colpevolmente trascurato dalla comunità internazionale) non giustifica l’aggressione a uno stato sovrano, ma evidenzia soltanto l’urgenza di affrontare e risolvere le cause remote del dramma in atto per scongiurare l’eventualità che esso possa ripetersi, in proporzioni persino superiori. Un conto è sforzarsi di comprendere, un altro è fare propaganda.
A proposito del presidente nazionale, il professor Vassallo sembra dubitare della sua legittimazione, mostrando una insospettabile sfiducia negli istituti della democrazia delegata ed una totale ignoranza dei lavori del Congresso nazionale: dove, oltre a 125 delegati, sono intervenuti una quarantina di autorevoli ospiti, fra cui Enrico Letta, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, il ministro Speranza, don Luigi Ciotti, dando vita a un’esperienza di apertura al dialogo, di democrazia, di pluralismo, che andrebbe suggerita all’intero sistema politico del Paese. Altro che ripetizione del «modello ereditato dagli anni Quaranta»!
Gli attacchi
Gli attacchi all’Anpi e il vero e proprio linciaggio mediatico del suo presidente hanno però toccato l’apice dopo l’espressione di dissenso verso la decisione italiana, e di molti altri Paesi occidentali, di fornire armi all’esercito ucraino, e dopo il comunicato sul massacro di Bucha.
Sul secondo punto, va notato che gli eccidi di civili rappresentano un evidente crimine di guerra, le cui responsabilità penali – come insegna la dottrina – devono essere accertate da un’autorità indipendente (qualcuna di esse ha già avviato le procedure di propria competenza), ma le cui responsabilità morali e politiche mettono capo agli artefici dell’invasione, cioè alla Federazione russa: e dunque non si vede sia il motivo dello scandalo.
Peraltro, l’esigenza di un’inchiesta da affidare a un organo imparziale è stata affermata, senza suscitare alcun clamore, dal segretario generale delle Nazioni unite e addirittura dal sottosegretario alla Sicurezza del nostro governo, Franco Gabrielli. A proposito dell’invio di armamenti, il gruppo dirigente dell’Anpi ha inteso esternare la preoccupazione che il rafforzamento del dispositivo militare dell’Ucraina determini non soltanto un prolungamento e una intensificazione del conflitto (con un conseguente, esponenziale aumento di sofferenze, lutti e distruzioni), ma anche una sua estensione, foriera di esiti catastrofici; come si fa a vedere in questa opinione l’implicita negazione del diritto all’autodifesa del popolo ucraino, o addirittura un sottinteso appello alla resa? Suvvia!
L’Anpi rispetta le tesi di quanti la pensano diversamente, ma esige uguale rispetto e considerazione per i timori da essa manifestati, e ispirati a una sincera volontà di pace, alla convinzione che tale obiettivo non possa essere ottenuto con il potere delle armi. Purtroppo di tale volontà non si scorgono finora segni concreti: le iniziative negoziali sono state delegate a improvvisati e scarsamente autorevoli mediatori, e se la Federazione russa ricorre a vari espedienti per boicottarle, è difficile sottrarsi all’impressione che anche la Nato (per meglio dire, gli Usa) preferisca una soluzione militare del conflitto, e che la sconfitta sul campo dell’esercito invasore serva non tanto a rafforzare la posizione del governo ucraino al tavolo delle trattative, quanto a regolare i conti con l’avversario (il nemico?), a limitarne drasticamente il peso e l’influenza sullo scenario globale.
Di più: l’Anpi è impegnata a concorrere alla creazione e allo sviluppo di un ampio, unitario movimento per la pace che non si limiti a ricercare e a percorrere tutte le possibili vie di un’immediata cessazione delle ostilità, ma che ponga le premesse durevoli per la costruzione di un nuovo sistema di sicurezza collettiva, di coesistenza e di cooperazione, in Europa e nel mondo.
Nel proporre questo progetto – che, se fosse condiviso dalle autorità europee, rappresenterebbe un primo, significativo e proficuo segnale di inversione di tendenza rispetto alla linea da esse finora tenuta – l’Anpi è perfettamente coerente non soltanto con gli ideali che hanno caratterizzato la sua lunga storia, ma anche con i principi di autonomia e pluralismo che ne stanno a fondamento.
E invece, secondo il professor Vassallo, l’Associazione avrebbe subito una mutazione genetica, riducendosi a un ricettacolo di nostalgici, di frustrati, di reduci della sinistra comunista e postcomunista. Ebbene, questa rappresentazione è non soltanto falsa, malevola e offensiva, ma tradisce fors’anche un segreto auspicio, peraltro destinato a essere deluso: quello che l’Anpi si omologhi a un partitino, si trasformi in un gruppuscolo di estremisti e di settari.
E sia altrettanto chiaro che l’Anpi non sarà mai subalterna né a un governo, né a un partito, né a un editore, né a chiunque altro. In quanto erede del lascito dei partigiani e delle partigiane che hanno contribuito a restituire libertà e dignità al nostro paese, a edificare la democrazia repubblicana, l’Anpi rimarrà la casa di tutti gli antifascisti, l’intransigente custode dei valori della Costituzione repubblicana: a cominciare da quello della pace, bene supremo che fu il sogno dei combattenti della Resistenza, e che resta ancora da conquistare.
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