- L’8 ottobre 2016, la famiglia Husni dormiva nella sua casa, situata nella campagna della città di Al-Hodeidah nello Yemen, una delle zone più povere del paese devastato dalla guerra.
- Esattamente alle 3 del mattino, un attacco aereo presumibilmente della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti ha colpito la loro casa con due missili consecutivi.
- Il nostro team di Mwatana for Human Rights - Ong yemenita indipendente - ha indagato sul luogo dell'attacco aereo e ha trovato resti delle armi usate per uccidere questi civili.
L’8 ottobre 2016, la famiglia Husni dormiva nella sua casa, situata nella campagna della città di Al-Hodeidah nello Yemen, una delle zone più povere del paese devastato dalla guerra. Dipendevano per il loro sostentamento dalla fattoria di famiglia, che era collocata vicino ad una fila di quattro case in cui risiedevano insieme alla loro famiglia allargata.
Esattamente alle 3 del mattino, un attacco aereo presumibilmente della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti ha colpito la loro casa con due missili consecutivi che hanno ucciso istantaneamente la famiglia di sei persone: il padre Husni, sua moglie incinta Gabool e i loro quattro figli Taqia, Fatima, Sara e Mohammed. Altri due missili hanno colpito la casa dei loro vicini, che fortunatamente erano riusciti a scappare dall'esplosione.
Entrambe le case sono state interamente distrutte. Il nostro team di Mwatana for Human Rights - Ong yemenita indipendente - ha indagato sul luogo dell'attacco aereo e ha trovato resti delle armi usate per uccidere questi civili. L'analisi degli esperti ha fatto risalire questi resti a un produttore di armi con sede in Sardegna, in Italia: Rwm Italia S.p.A, una filiale italiana della tedesca Rheinmetall AG.
Questa tragedia non è purtroppo un evento eccezionale in Yemen: dall'intervento della coalizione a guida saudita/Uae nel marzo 2015, migliaia di civili e infrastrutture civili sono stati uccisi e distrutti. Ma la morte di un'intera famiglia ha segnato l'inizio del nostro processo in corso per cercare giustizia per la famiglia Husni che ha perso tutto, per i loro cari che ancora soffrono per le conseguenze di quell'attacco aereo e ancora oggi non sono in grado di ricostruire le loro case.
Questa lotta per la giustizia è anche per tutti gli yemeniti che non capiscono perché ci siano armi che provengono dall'Europa per alimentare una guerra che è nota per aver portato alla più grande crisi umanitaria del mondo.
Nell'aprile 2018 Mwatana, insieme al Centro europeo per i diritti costituzionali e umani Ecchr di Berlino e alla Rete Italiana Pace e Disarmo, ha presentato una denuncia penale chiedendo alla Procura di Roma di indagare sulla responsabilità penale dei dirigenti di Rwm Italia Sp.a. e dei funzionari dell'Autorità nazionale per l’esportazione degli Armamenti (Uama) italiana per il loro ruolo di contributo all'attacco aereo mortale attraverso le esportazioni di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti.
La denuncia sostiene che queste esportazioni sono state autorizzate in violazione delle norme giuridiche internazionali e nazionali progettate per impedire l'esportazione di armi quando c'è il rischio che vengano utilizzate in contesti in cui le violazioni del diritto umanitario internazionale sono note e ripetute, come è stato chiaramente il caso dello Yemen.
Pensavamo che il nostro lavoro consistesse nel dimostrare che tali armi sono state usate per commettere prevedibili crimini di guerra da parte di paesi con noti precedenti di orribili abusi nello Yemen. Tuttavia, quasi 4 anni dopo, l'Ufficio del Procuratore di Roma ha deciso di chiedere nuovamente l'archiviazione del caso senza aver svolto un'indagine approfondita. Ci rendiamo conto che non è così semplice, e che l'onere che grava su di noi per dimostrare l'ovvio è eccessivamente oneroso.
Dopo un anno e mezzo dalla denuncia, nell'ottobre 2019, la procura di Roma aveva chiesto già una prima volta l'archiviazione del caso. La notizia è stata deludente e scioccante, soprattutto perché era chiaro che il procuratore non aveva indagato efficacemente sulle prove presentategli e ha comunque concluso su basi formali che nessuno degli indagati aveva intenzione che questo attacco aereo avvenisse.
Una decisione difficile da spiegare alla famiglia perché abbiamo dovuto dire che: «Anche se i vostri cari sono morti, anche se le vostre case sono state distrutte da quelle armi, secondo la procura italiana nessuno voleva che ciò accadesse». Nonostante la delusione nella voce di Zain (testimone e parente), ha chiesto: «Ci sono altre vie legali che possiamo percorrere?».
Abbiamo dunque deciso di appellarci alla decisione del pubblico ministero nella convinzione che il sistema giuridico italiano non ci avrebbe deluso. E così abbiamo fatto. Il 23 febbraio 2021, il gip di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione e ha ordinato che il caso fosse indagato a fondo dal pubblico ministero.
Questo è stato un passo importante, ma il lungo, costoso ed estenuante percorso non è ancora finito. Contrariamente a quanto ordinato dal gip il procuratore non solo non ha acquisito una documentazione completa, ma non ha nemmeno indagato sulla responsabilità dei funzionari di Rwm Italia.
Il tutto nonostante sia ormai certo e confermato che l’arma trovata sul luogo dell'attacco era stata prodotta dall'azienda e potrebbe essere stata esportata nel novembre 2015 momento in cui organismi dell'Onu, ong internazionali e organizzazioni yemenite avevano documentato ripetute violazioni della coalizione a guida saudita/UAE.
In un risultato molto inaspettato, il procuratore italiano ha chiesto ancora una volta l'archiviazione del procedimento, senza condurre un'analisi esaustiva dei fatti da quanto possiamo apprendere dai documenti ufficiali. Sfideremo questa decisione e continueremo ad assistere la famiglia nella sua ricerca di giustizia. Nonostante questi ostacoli, gli yemeniti comuni nel mezzo di questo lungo conflitto armato credono ancora nella legge come unico modo per ottenere giustizia e responsabilità. Sia che venga usata contro i responsabili diretti che commettono violazioni sul campo, o contro le aziende e i governi stranieri che continuano ad alimentare la guerra fornendo armi e traendo irresponsabilmente profitto da questo business.
Questo caso rivela la scomoda verità sulle esportazioni di armi da parte di paesi europei, come l’Italia, verso l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e i loro alleati che contraddicono completamente la loro richiesta di pace nello Yemen e il sostegno umanitario per la stessa popolazione bersaglio di queste armi. Insieme a tutte le sfide finanziarie, legali e di sicurezza, sono evidenti anche le sfide politiche di ritenere i funzionari governativi e le società responsabili attraverso procedimenti nazionali nei tribunali europei.
Tuttavia, quando le autorità nazionali non indagano adeguatamente su questi casi, devono essere attivate altre vie di responsabilità penale, e qui la Corte penale internazionale, come via di ultima istanza, ha un ruolo cruciale da svolgere per garantire che gli yemeniti siano in grado di ritenere i colpevoli responsabili.
Infatti, la questione è attualmente al vaglio anche della Corte penale internazionale dell'Aia, a seguito di una comunicazione presentata da Mwatana e dai suoi partner all'Ufficio del procuratore nel dicembre 2019.
È diventato molto chiaro che è giunto il momento di creare un meccanismo di responsabilità penale internazionale simile a quello già attivato per la Siria, che rispetti gli standard di giustizia che gli yemeniti meritano e che la comunità internazionale pretende di difendere.
© Riproduzione riservata