Dobbiamo difenderci»: con questa scusa anche i peggiori hanno sempre coperto la propria aggressività. Non c’è quasi nessuno nella storia che abbia attaccato qualcun altro senza dire che in realtà si stava difendendo dalla minaccia.

Il vittimismo aggressivo è più diffuso di quanto si creda e a nessuno piace autodefinirsi aggressore: chiedere a Putin per averne la controprova. Un altro elemento della giustificazione all’autodifesa è ricominciare sempre la storia da sé e dall’attimo presente.

Per discolparsi con la necessità di difendersi legittimamente, si ricomincia da sé senza guardare alla storia passata, agli errori fatti in precedenza, alle condizioni reali che hanno creato la situazione presente, insomma alle proprie responsabilità.

Davvero fa sorridere una lettura della storia che ricomincia sempre dalla data che fa più comodo, in modo da celare le proprie mancanze e ciò che è avvenuto o che è stato detto in precedenza. Nessuna crisi che stiamo vivendo nel mondo è iniziata ora, ma ha dietro alle sue spalle una lunga lista di errori (talvolta orrori), colpe e manchevolezze che non permettono a nessuno di lavarsene le mani e uscirne pulito come se fosse giunto in quel momento (Europa e Usa inclusi ovviamente, con buona pace di chi li vorrebbe sempre innocenti).

Non possiamo accettare una rilettura della storia solo a partire da ciò che si preferisce sottolineare, omettendo il resto: si tratta di una manipolazione. Se poi per difendersi si attacca anche l’alleato, l’amico o l’innocente, allora siamo del tutto fuori scala: invocare le regole solo quando fanno comodo e scavalcarle quando diventano un ostacolo corrisponde solo ad arrogante unilateralismo prevaricatore.

Il multilateralismo serve precisamente a questo: avere delle regole valide per tutti, sia quando fanno comodo sia quando rappresentano un ostacolo. Le regole di condotta internazionale – in particolare il rispetto delle Nazioni unite – rappresentano sempre (piaccia o non piaccia) un limite: il limite di ciò che non si può travalicare, un limite alla propria capacità di violenza anche in nome dell’autodifesa.

Non esiste autodifesa illimitata nemmeno nella vita civile: ad esempio anche la famigerata legge americana “castle law” che ammette l’uccisione dell’aggressore si limita ai confini della proprietà e non può mai superarla: dentro il “castello” e non fuori da esso.

Per tutto il resto vale la regola della convivenza civile e internazionale: se quest’ultima è messa a repentaglio da chi la viola, non si è legittimati a violarla a propria volta. Occorre invece fare in modo di ripristinarla precisamente utilizzando la trattativa internazionale.

Nei casi più difficili, allorquando si è davanti a soggetti che non ottemperano e sono fuori (del tutto o anche in parte) dalla legalità internazionale, occorre dare la possibilità alle operazioni internazionali di avere delle regole d’ingaggio più severe, più drastiche.

Non ci si può lamentare ora di non averle accordate prima, per cercare di rimuovere l’ostacolo. In altre parole: così come nella vita civile anche in quella internazionale non ci si può fare giustizia da soli, alle proprie condizioni, quando e come fa più comodo. Questo vale per tutti, nessuno escluso.

Nella convivenza globale, non c’è vittimismo che possa giustificare: tutto avviene mediante il negoziato. Altrimenti si torna indietro, prima della creazione della legislazione internazionale, cioè alla legge del più forte.

Ma è bene rammentare che in questo caso tutto torna a essere lecito e legittimo, qualunque orrore. È precisamente ciò che vogliono i movimenti che si mettono fuori dalle regole internazionali, come i terroristi: è conveniente mettersi al loro livello e scendere sul loro terreno? La convivenza stessa è un negoziato permanente, in famiglia, in un paese come nella vita del mondo.

Nel corso della storia lo scontro violento tra opposti vittimismi aggressivi che rifiutano di parlarsi ha sempre dato pessima prova di sé. Nessun essere umano, così come nessun paese, può considerarsi escluso da tale ricerca e da tale responsabilità. Chi ha orecchie intenda.

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