Il ministro Calderoli più inveisce contro il referendum abrogativo sulla sua legge sull’autonomia regionale differenziata più rivela che è sempre più solo a difenderla. Alla presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia vanno fatte alcune domande
Il ministro Calderoli più inveisce contro il referendum abrogativo sulla sua legge sull’autonomia regionale differenziata più rivela che è sempre più solo a difenderla.
Calderoli sostiene di avere il sostegno di Giorgia Meloni, che ovviamente ha chiaro che rischia la crisi del suo governo; afferma di avere informato i colleghi ministri ma tralascia che alcuni si stanno mettendo di traverso (Tajani ha fatto sapere che di commercio estero non se ne parla); annuncia che a fine settembre inizieranno le trattative con 4 regioni e - per darsi importanza - ci mette anche la Liguria, che voterà a novembre perché il Presidente Toti si è dimesso.
Alla presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia vanno fatte alcune domande.
Giorgia Meloni pensa di perseverare - diabolicamente - nella sottovalutazione della portata distruttiva della legge Calderoli per l’unità nazionale e per i diritti fondamentali dei cittadini italiani (tutti), che sta facendo fibrillare parte della stessa maggioranza per il rischio di perdere voti nel sud e che apre varchi importanti anche al nord? Non basterà la giustificazione che altrimenti potrebbe cadere il governo perché i cittadini, i comuni (ignorati dall’autonomia di Calderoli) e molte regioni non possono accettare di perdere diritti fondamentali e il loro ruolo istituzionale per salvare la Lega dal disastro di una meritata sconfitta.
Alle regioni che hanno sollevato l’incostituzionalità della legge Calderoli davanti alla Corte il ministro risponde che si va avanti come se nulla fosse e «che sono solo turbolenze»? Occhiuto e Bardi cosa ne pensano?
Si finge di ignorare che appena il sito pubblico on line – 500.000 firme – e i banchetti per quelle cartacee hanno iniziato a lavorare il successo è stato impressionante e continua. L’obiettivo di 1 milione di firme è alla portata, anzi si può andare oltre, ed è un avvio di campagna elettorale.
Insistere su difficoltà inesistenti nella raccolta delle firme fa torto all’intelligenza di Calderoli che non trova altri argomenti e in fondo spera che un incidente tolga di mezzo il referendum sull’autonomia, che invece sarà una grande prova elettorale da cui dipenderà anche il futuro del governo.
Se la maggioranza non fosse paralizzata dal patto di potere che la tiene insieme, potrebbe apprezzare che c’è una società attiva, che non rinuncia a dire la sua e punta sul voto e sulla partecipazione come punto di forza contro l’astensione; anche l’opposizione politica sta trovando una strada comune senza farsi paralizzare da errori precedenti. Inoltre la maggioranza dovrebbe vedere che esponenti della destra, compresi presidenti di regioni e cittadini, sono contrari alla legge Calderoli e preoccupati per l’unità nazionale dei diritti.
Calderoli insiste sul collegamento della sua legge con quella di bilancio, invocandone lo scudo. Il governo non può decidere ad libitum cosa è importante per il bilancio e cosa no. Se è una finzione la Corte costituzionale può ritenerla una furbata, come in questo caso, e ammettere il referendum. Il vero collegamento semmai è al contrario, basta leggere Stefano Fassina: questa legge è una bomba per il bilancio pubblico e la coesione nazionale. Non è una legge costituzionalmente necessaria ma il suo contrario. L’argomento che una precedente proposta referendaria di Calderoli sulla Fornero fu bocciata dalla Corte non ha valore, sono materie e situazioni non paragonabili. Calderoli sembra quasi chiedere clemenza alla Corte per la sua legge.
Calderoli ha il merito di disvelare uno dei punti più nefasti della sua legge, ha ricordato infatti che i Lea nella sanità vengono decisi da tutte le regioni insieme, in modo solidale, con reciproco controllo. Mentre nella sua legge sull’autonomia il governo tratta separatamente con ciascuna regione, alla faccia della solidarietà, e affida ad una commissione mista tra il governo e la regione la gestione degli accordi, del personale e dei quattrini, con l’obiettivo di arraffare altre entrate, che ovviamente mancherebbero allo stato e alle altre regioni.
Giorgetti non ha mai chiarito perché ha accettato (benevolenza infraleghista?) che il Mef abbia tempi prefissati per dire la sua come gli altri ministeri, trascorsi i quali Calderoli potrebbe andare avanti comunque con le trattative, a partire da fine settembre? Finora Giorgetti ha fatto il pesce in barile, ora basta, deve proporre la legge di bilancio e ci mancherebbe solo che mentre prova a far quadrare i conti Penelope-Calderoli disfa la tela del bilancio pubblico. Questo giochetto deve finire.
L’Italia rischia di pagare un prezzo pesante, tanto più se si dovesse cedere alle pressioni di Zaia che vorrebbe compartecipazioni regionali fino all’80/90 per cento delle entrate dello stato.
Proseguire con l’attuazione della legge prima del voto dei cittadini per abrogarla sarebbe diabolico.
Proseguiamo la raccolta delle firme per ottenere il referendum e iniziare al meglio la campagna elettorale per il sì.
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