È davvero chiusa la «annosa e complessa questione» relativa alle concessioni balneari, come ha dichiarato il ministro per gli affari europei, Raffaele Fitto? Se ne può dubitare, nonostante il decreto Salva Infrazioni, adottato qualche giorno fa, abbia sancito l’obbligo di avviare le gare entro il 30 giugno 2027 e l’estensione di efficacia delle concessioni sino al 30 settembre 2027.

Diverse questioni restano comunque aperte. L’impressione è che il governo voglia ignorarle, fino al prossimo incidente (giudiziario) di percorso.

L’Unione europea

Una premessa: il benestare della Commissione Ue all’ennesima proroga disposta dall’esecutivo ha dato l’impressione che per l’Italia le regole europee siano eludibili o, quanto meno, che la loro applicazione sia comunque rimandabile. Ciò nuoce all’immagine della Commissione, oltre che a quella del governo italiano.

Palazzo Chigi ha sottolineato «la collaborazione tra Roma e Bruxelles» per «trovare un punto di equilibrio tra la necessità di aprire il mercato delle concessioni e l’opportunità di tutelare le legittime aspettative degli attuali concessionari». La Commissione ha commentato positivamente il decreto, puntualizzando tuttavia che resta aperta la procedura d’infrazione, avviata nel 2020, finché l’Italia non sarà pienamente allineata alla normativa europea.

Il rischio è che ciò non avvenga. Per aggirare il divieto di proroghe generalizzate delle concessioni balneari, infatti, l’esecutivo ha attribuito agli enti locali la valutazione dei tempi della loro messa a gara entro il 2027. In altre parole, il governo ha preso con l’Ue un impegno che però spetterà ai Comuni assolvere. Ma a questi ultimi fanno capo interessi locali di tipo elettorale rispetto a cui le concessioni assumono un certo peso.

I giudici

Negli ultimi anni, sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di giustizia europea hanno imposto la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023 e vietato il rinnovo automatico delle stesse. In particolare, nel novembre 2021, i giudici di palazzo Spada hanno affermato che le previsioni di nuove proroghe avrebbero dovuto essere considerate come non esistenti da giudici e organi amministrativi. Dunque, la stessa sorte potrebbe spettare anche alla norma di rinvio al 2027.

In altre parole, l’accordo con la Commissione Ue, nonostante il vanto che ne fa il governo, potrebbe non evitare che la nuova proroga sia disapplicata dai tribunali che, a seguito di nuovi ricorsi, ritenessero il 31 dicembre 2023 l’unico termine legittimo di cessazione delle concessioni.

I cittadini

I cittadini hanno diritto a godere di spiagge libere. Ma il decreto Salva Infrazioni non contiene alcuna disposizione per assicurare il rispetto della norma - sancita dalla legge Finanziaria del 2007 e ribadita dalla legge sulla concorrenza del 2022 - che pone a carico di comuni e regioni l’obbligo di assicurare il «corretto equilibrio tra aree concesse ai privati e arenili direttamente fruibili». Tale equilibrio manca in molte regioni. Basti pensare, come risulta da un rapporto Legambiente 2024, che ad esempio in Liguria, Emilia-Romagna e Campania il litorale è occupato al 70% da stabilimenti balneari, e ancor di più in specifici Comuni.

I cittadini hanno pure diritto a vedere lo Stato assegnare le concessioni dietro un adeguato corrispettivo. Ma i canoni incassati oggi ammontano a una cifra che sta tra i 50 e i 100 milioni di euro, ossia circa l’1-2 per cento rispetto al fatturato dei balneari. Canoni inadeguati si traducono in minor introiti da parte dell’erario, quindi in maggiori tasse che i cittadini devono pagare per consentire allo Stato di funzionare. Ma il decreto Salva Infrazioni prevede un aumento dei canoni pari solo al 10 per cento dell’importo attuale.

I balneari

I gestori considerano ancora aperta la questione delle concessioni, tra l’altro, poiché accusano il governo per il mancato riconoscimento, in sede di gare, dell’avviamento commerciale dell'impresa balneare, come invece era indicato dalla legge sulla concorrenza del 2022. Tale riconoscimento costituirebbe un beneficio vietato dalla direttiva Bolkestein.

Pertanto, a loro favore è solo previsto un indennizzo pari al valore degli investimenti non ammortizzati, nonché pari a quanto necessario per garantire un’equa remunerazione su quelli degli ultimi cinque anni. Ma in tali anni gli investimenti sono stati ridotti a causa dei tentennamenti dei governi sulla messa a gara delle concessioni.

Dunque, saranno possibili ricorsi da parte di vecchi gestori che lamentano la lesione dei propri diritti. Detto tutto questo, la questione relativa alle concessioni marittime può dirsi realmente chiusa?

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