- La Bce non dà indicazioni precise sulla data di inizio dell’aumento dei tassi ma conferma la fine dei suoi acquisti di titoli dal terzo trimestre, al netto dei reinvestimenti di quelli in scadenza.
- Ciò priva i grandi debitori, tra cui il nostro paese, di un formidabile compratore di ultima istanza, che ci ha sin qui sostenuto creando nella classe politica una pericolosa dipendenza dal deficit “on demand”.
- Consapevole di ciò. Draghi ha scritto un Def molto conservativo, o meglio inidoneo a proteggere famiglie e imprese a mezzo di ulteriore deficit. A meno che la situazione si deteriori fortemente per tutta Europa, e si torni al debito comune.
La Banca centrale europea, nella riunione del 14 aprile, ha confermato la tabella di marcia per la conclusione nel terzo trimestre degli acquisti netti di titoli obbligazionari (il cosiddetto APP, Asset Purchase Program), senza specificare la data di inizio del ciclo di aumento dei tassi. Iniziato il quale, si proseguirà comunque a reinvestire integralmente, per un prolungato periodo di tempo, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza. Si continuerà inoltre a reinvestire interessi e capitale di titoli acquistati nell’ambito del programma di emergenza pandemica, il cosiddetto PEPP.
L’invasione russa dell’Ucraina e il relativo shock sui prezzi delle materie prime, che si somma alla fase di sostenuta inflazione alimentata dalle riaperture post pandemiche, aumenta drasticamente l’incertezza su tempi e modi di normalizzazione della politica monetaria, soprattutto se si dovesse giungere a un embargo totale dell’energia russa e al conseguente razionamento a carico di famiglie e imprese.
Il ritorno del debito
La sostanziale conclusione degli acquisti della Bce, pur se mitigata dal reinvestimento dei titoli in scadenza, ha posto sul tavolo la questione della gestione dei deficit pubblici nazionali, in caso di nuove emergenze. Durante la pandemia, infatti, la Bce ha assorbito integralmente (e, nel caso italiano, ha ampiamente superato) lo stock di nuovo debito prodotto dai forti deficit creati dal crollo dell’attività produttiva e dalle misure di sostegno all’economia.
Dal terzo trimestre, quindi, verrà pressoché a mancare il compratore di “ultima istanza”, e proprio durante un evento bellico sul suolo europeo.
Molte forze politiche italiane hanno invocato un nuovo debito comune europeo per far fronte alla nuova crisi. Questa richiesta ignora o finge di ignorare che le condizioni sono radicalmente differenti. Ad esempio, nella ripartizione degli eventuali aiuti comunitari. Privilegiare i paesi a maggiore dipendenza dal gas? Se così fosse, si tratterebbe di Germania e Italia.
Ma chi pagherebbe per canalizzare i fondi ai due maggiori paesi manifatturieri europei? inoltre, come sostenere la domanda interna a fronte di un violento shock di offerta, dove letteralmente mancano beni? Sarebbe un’ulteriore iniezione di domanda, e nuova benzina sul fuoco inflazionistico.
Il sentiero molto stretto che paesi come il nostro, con una finanza pubblica molto fragile, devono percorrere, impedisce anche di ricorrere a scostamenti di bilancio, cioè nuovo deficit.
I mercati, cioè chi compra il nostro debito, potrebbero iniziare a prezzare un aumento del premio al rischio paese, facendo decollare lo spread.
Strumenti speciali
Giorni addietro, la Bce ha annunciato, senza ulteriori dettagli, di avere allo studio “strumenti speciali” per evitare la “frammentazione”; detto in modo brutale, evitare che paesi come il nostro perdano la fiducia degli investitori. Non è chiaro di che strumenti possa trattarsi.
Quando guidava la Bce, Mario Draghi introdusse le cosiddette OMT (Outright Monetary Transactions), peraltro mai adottate, che prevedono acquisti di titoli di stato del paese di difendere, con scadenza tra uno e tre anni, per calmierare gli spread sull’intera curva dei rendimenti. Acquisti condizionati a un più che probabile memorandum, cioè a misure correttive.
Il comunicato Bce del 14 aprile accenna a strumenti contro la frammentazione ma solo a quella conseguenza della pandemia, prevedendo che i reinvestimenti del PEPP siano «adeguati in maniera flessibile nel corso del tempo, fra le varie classi di attività e i vari paesi in qualsiasi momento». Non nuovi impegni, quindi, ma il dirottamento di acquisti su paesi bisognosi, deviando dalla allocazione predefinita, la cosiddetta “capital key”.
Nulla viene tuttavia detto riguardo ad altri potenziali episodi di frammentazione, forse per evitare che la speculazione li autoavveri, accendendo immediatamente un faro sul paese sospettato.
Il governo italiano ha scritto un Def in cui si ipotizza il mantenimento di condizioni tali da proseguire la discesa del rapporto debito-Pil, pur se soggette ad altissima incertezza.
Ogni iniziativa di sostegno a famiglie e imprese difficilmente potrà avvenire con deficit aggiuntivo, a meno di un deterioramento economico talmente grave da coinvolgere tutta Europa e rendere in qualche modo tollerabili scostamenti di bilancio, magari impacchettati come debito comune.
Sono i prezzi da pagare per una finanza pubblica mai risanata con la crescita e per la dipendenza dagli acquisti Bce.
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