Le norme di rango superiore alla legge nazionale, e i giudici che le applicano, intralciano l’attuazione delle politiche del governo? Basta aggirare le une e gli altri, e il gioco è fatto. Ed è proprio il “gioco” della Lega, che per superare tali ostacoli ha presentato in Commissione Affari costituzionali alcuni emendamenti al disegno di legge sulla separazione delle carriere.

I fatti

L’intervento normativo scaturisce dalla mancata convalida del trattenimento dei migranti nei centri albanesi. Il tribunale di Roma, attenendosi a una sentenza vincolante della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre scorso, non ha confermato il fermo. I loro paesi di provenienza (Egitto e Bangladesh) non sono “sicuri”, secondo quanto affermato dalla Corte, e ciò ha fatto venire meno il presupposto della procedura accelerata di esame delle domande di asilo, l’unica che si applica in Albania. Pertanto, i migranti sono stati trasferiti in Italia.

Il governo ha, quindi, aggiornato e inserito in un decreto-legge la lista dei paesi sicuri, prima contenuta in un decreto interministeriale. Secondo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con il nuovo decreto, che è una fonte primaria, l’unica strada consentita ai giudici che lo reputassero in contrasto con la normativa Ue sarebbe quella di impugnarlo dinanzi alla Corte costituzionale. Così non è, e l’abbiamo spiegato nei giorni scorsi: il decreto-legge potrebbe essere disapplicato proprio come il precedente decreto interministeriale.

Perciò sono stati presentati gli emendamenti della Lega.

Gli emendamenti

Come riporta il quotidiano Il Dubbio, il primo di tali emendamenti prevede che all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, sia soppresso il passaggio che condiziona la potestà legislativa di Stato e Regioni ai «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Tale potestà sarebbe così subordinata al solo «rispetto della Costituzione».

Un altro emendamento aggiunge un comma all’articolo 11 della Carta: «La Costituzione non costituisce, in ogni sua previsione, fonte subordinata ai Trattati e agli altri atti dell’Unione europea».

Un terzo emendamento interviene su una legge costituzionale (n. 87/1953) e prevede che, qualora il giudice ravvisi un contrasto tra una norma nazionale e una norma europea direttamente applicabile, «è tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale».

Queste proposte non sono una novità. Nella scorsa legislatura furono presentati due disegni di legge (n. 291 e n. 298), a prima firma di Giorgia Meloni, che intendevano raggiungere i medesimi risultati.

Gli effetti

L’appartenenza dell’Italia all’Ue e la sua adesione a organizzazioni e convenzioni internazionali comportano necessarie limitazioni di sovranità. Con l’eliminazione dall’articolo 117 del riferimento a qualunque vincolo per il legislatore nazionale che non sia la Costituzione, l’Italia sarebbe affrancata dall’osservanza dei principi posti dalla disciplina Ue, ad esempio in tema di di politiche di bilancio o di libertà di circolazione. Si rammenti, inoltre, che il richiamo dell’articolo 117 agli obblighi internazionali ha consentito alla Consulta di incorporare nell’ordinamento nazionale norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Con il secondo emendamento si vorrebbe vanificare il principio di prevalenza del diritto Ue su quello nazionale, per cui il giudice non potrebbe più disapplicare una disposizione interna in contrasto con una dell’Ue.

Quanto all’emendamento che obbliga il giudice a rivolgersi alla Consulta, esso dimostra che è privo di fondamento quanto aveva affermato Nordio, e cioè che in presenza di una fonte primaria, qual è il decreto-legge paesi sicuri, il giudice è obbligato a ricorrere esclusivamente alla Corte costituzionale qualora ravvisi un contrasto con la disciplina Ue. Se fosse stato vero ciò che ha sostenuto dal ministro, l’emendamento non sarebbe servito. Quindi, con tale emendamento la maggioranza di governo smentisce se stessa.

Che cosa accadrà

Le norme proposte dalla Lega contrastano con l’ordinamento dell’Ue e, pertanto, qualora fossero approvate, non solo i giudici potrebbero disapplicarle, ma Bruxelles avvierebbe anche una procedura di infrazione. È probabile che quegli emendamenti siano bocciati, anche perché non coerenti con il ddl in cui sono inseriti.

Al di là dell’usuale spreco di soldi pubblici usati per scrivere norme che sono solo propaganda, nell’iniziativa della Lega c’è qualcosa di peggio: il tentativo di un partito al governo di far uscire surrettiziamente l’Italia dall’Ue, mediante il disconoscimento dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione. Chissà quanti lo hanno davvero compreso.

© Riproduzione riservata