Che cosa può insegnare la vicenda della partecipazione di Leonardo Caffo alla fiera della piccola e media editoria di Roma, Più libri, più liberi?

I fatti sono questi: Chiara Valerio, che del programma della fiera è curatrice, aveva inserito una presentazione di un libro di Caffo, che avrebbe avuto la forma di una lezione sull’anarchia (di cui si parla nel libro), rivolta a studenti e studentesse. È in corso un processo penale a Caffo, per presunte violenze ai danni di una donna con cui Caffo è stato in relazione.

Pochi giorni dopo l’evento è attesa la sentenza del primo grado di giudizio del processo. La fiera è dedicata a Giulia Cecchettin. Parecchie persone hanno osservato che invitare Caffo è stato inopportuno.

Altre persone, Valerio compresa, hanno insistito sulla presunzione d’innocenza e sulla libertà di parola, oltre che sull’assenza di relazione fra i contenuti dell’evento e il tema della violenza contro le donne. Caffo ha poi ritirato la sua partecipazione.

Le polemiche continuano: Chiara Valerio ha inizialmente difeso la sua scelta e lanciato accuse di giustizialismo, mentre alcuni, tra cui la fumettista Josephine Yole Signorelli (Fumettibrutti), hanno deciso di ritirarsi dall’evento. Valerio ha postato delle scuse, dicendo che la fiera metterà a disposizione delle sale (tra cui quella che inizialmente era riservata alla presentazione del libro di Caffo) «per i centri antiviolenza, le associazioni, i gruppi e le singole persone che vogliono contribuire alla discussione contro la violenza di genere». 

Giustizialismo e panpenalismo

Vari aspetti di questa vicenda non sono rilevanti: è una tipica polemica da social, volano accuse neanche troppo velate di doppiopesismo e amichettismo. Il punto più interessante è l’accusa di giustizialismo  scagliata contro chi ha osservato che l’invito e la presenza potessero essere inopportuni.

Il giustizialismo è l’idea che la pena abbia rilevanza morale, che chi viene giudicato colpevole, o sia anche solo implicato in un processo, sia anche moralmente indegno, e lo sia anche prima della condanna. Talvolta, il giustizialismo diventa panpenalismo, cioè pretesa di risolvere tutti i problemi sociali tramite maggiori e più drastiche pene – e qui la destra è campione.

Il giustizialismo è una tentazione forte, specialmente quando siano in ballo personaggi pubblici o percepiti come potenti o privilegiati. E contro questa tentazione si fa bene a ricordare che le persone coinvolte in un processo sono da considerarsi innocenti sino al terzo grado di giudizio. Questa è una misura di civiltà da tenersi stretta. E molte persone condannate possono essere moralmente innocenti anche dopo la condanna, data la possibilità di errori giudiziari. E possono esserlo quando molto tempo sia passato dalla condanna, grazie al cielo, perché le persone cambiano.

I rischi dell’antigiustizialismo 

Però c’è un antigiustizialismo che commette l’errore pari e contrario. Il giustizialismo schiaccia diritto e morale. L’antigiustizialismo fa lo stesso. Siccome non c’è stata sentenza, allora tutto va bene: il giudizio morale si può emettere solo dopo la sentenza. Siccome c’è presunzione d’innocenza del presunto reo, allora la vittima del reato – si ricordi che nei processi penali ci sono vittime – non ha diritto alcuno di protezione.

L’antigiustizialismo accusa i giustizialisti di semplicistico moralismo. Ma spesso sono gli antigiustizialisti a vedere tutto in maniera troppo netta. In questioni così dolorose e delicate come la violenza di genere ci sono vittime primarie (la donna) e secondarie (i figli).  Andrebbero sempre tutelate, anche con un eccesso di prudenza. 

Ci sono simboli, nei casi di violenza di genere, e c’è ingiustizia strutturale: una delle due parti, il maschio, appartiene al genere che ha spadroneggiato, che si è macchiato in prevalenza di questi soprusi. L’altra parte appartiene al genere che li ha subiti, che spesso non li ha denunciati, che ancora adesso fa fatica a farsi credere. Possiamo dimenticarci di queste cose, un anno dopo la morte di Giulia Cecchettin?

Come Caffo è innocente sino a prova contraria, la donna che lo ha denunciato è credibile sino a prova contraria. I suoi sentimenti potrebbero essere urtati dalla visibilità concessa a chi ha denunciato. Questi sentimenti non possono prevalere su tutto, naturalmente. Non si fanno processi in piazza. Non si minano le basi materiali del sostentamento di una persona che ha solo il difetto, o la sfortuna, di essere imputato.

Ma perché l’opportunità e il rispetto non dovrebbero valere nulla? Le eventuali perdite di Caffo non partecipando all’ennesima fiera sono paragonabili ai sentimenti di cui parlo? Non credo. Preoccuparsi di questo, porsi il dubbio che la cosa non sia opportuna è una condanna preventiva, che tradisce i principi del garantismo e dello stato di diritto? Lo è soltanto se tutte le sfumature della moralità si riducono al diritto e non c’è senso di opportunità morale fuori dal diritto. Che è l’idea che gli antigiustizialisti, purtroppo, condividono con i giustizialisti.

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