Una premessa: ho sempre pensato e tuttora penso che un centrosinistra qualificato e competitivo avrebbe bisogno di una componente liberale. Per lungo tempo ho sperato che Calenda potesse incarnare tale componente. Nonostante il carattere fumantino e una certa inaffidabilità.

Si pensi a qualche suo scarto le cui motivazioni non sono state chiarissime (per essere generoso): eletto grazie al Pd al Parlamento europeo lasciò subito il partito; altrettanto spiazzante la revoca dell’intesa solennemente siglata con Letta alla vigilia delle politiche.

Non è Renzi

Ciononostante ho sempre fatto una distinzione tra lui e Renzi, che ha fatto del funambolismo politico e delle disinvolte manovre parlamentari la sua specialità. Di più: la sua divisa. Eloquente l’epilogo renziano: il più esuberante degli innovatori, pur di raccattare qualche voto, si è ridotto a reclutare i Cuffaro e i Mastella.

Ma torniamo a Calenda. Il suo mantra ossessivo non mi ha mai convinto: non si capisce perché destra e sinistra sarebbero per definizione “posizioni ideologiche” - intese come astrazioni fallaci e strumentali, addirittura evocatrici di fascismo e comunismo - e il dogma terzista no.

Una rappresentazione presuntuosa e manichea. Si potrebbe sostenere il contrario. Ovvero: che destra e sinistra corrispondono a riconoscibili visioni e sistemi di valore tra loro alternativi e chi sta in mezzo darebbe prova di ignavia e opportunismo.

L’onere della prova spetta a tutti. Presumere che, per definizione, il centro sia il luogo della virtù è a sua volta sommamente “ideologico”, comunque indimostrato.

La domanda da fare

Rammento un’arguta pagina di Manzoni a proposito dei moderati: “que’ prudenti che s'adombrano delle virtù come de' vizi, predicando sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov'essi sono arrivati, e ci stanno comodi”.

Calenda è testardo. Politici e opinionisti dovrebbero piantarla di fargli sempre la stessa domanda - intendiamoci: pertinente - ben sapendo che avranno sempre la stessa collaudata risposta.

Di recente però si è prodotta una piccola novità: alla buon’ora Calenda dichiara di avere compreso che le regole della competizione locale – regioni e comuni – prescrivono di operare una scelta di campo.

Pena l’irrilevanza.

A questo punto la domanda è piuttosto la seguente: salvo illudersi che la destra faccia agli avversari il regalo di cambiare la pessima leggere elettorale che le fa tanto comodo, il dovere di scegliere non vale anche per la contesa nazionale?

Contraddizioni

Curioso poi il caso lucano. Lì il referente di Azione boccia una candidatura perché si tratterebbe di un civico e non di un politico (non è un cedimento alla vituperata politica ideologica?); siede al tavolo del centrosinistra ma si dichiara pronto a sostenere il candidato del centrodestra (gli sta bene anche il suo programma già confezionato, che, a detta del pragmatico Calenda, sarebbe ciò che più conta?!); e già si porta avanti prenotando assessorati.

Tre domande per chiudere:

  1. è questa, la family Pittella, l’interprete di una politica nuova e diversa?
  2. Non si declina così verso un mix di settarismo terzista e trasformismo?
  3. Lungo questa china dove sta la differenza di costume con Renzi?

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