- Nel caso Metropol e i fondi russi alla Lega è necessario tenere ben distinta la dimensione giudiziaria della vicenda da quella politica.
- La richiesta di archiviazione inviata dalla procura di Milano al giudice per le indagini preliminari prelude a una chiusura dell’inchiesta sulla trattativa condotta da Gianluca Savoini.
- Fin qui la questione giudiziaria. Altra cosa è l’eredità che consegna alla politica il caso Metropol, le sue conseguenze politiche, che chiamano in causa un responsabilità diversa da quella penale.
Nel caso Metropol e i fondi russi alla Lega è necessario tenere ben distinta la dimensione giudiziaria della vicenda da quella politica. La richiesta di archiviazione inviata dalla procura di Milano al giudice per le indagini preliminari prelude, salvo colpi di scena, a una chiusura dell’inchiesta sulla trattativa condotta all’hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre 2018 da Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, con le controparti russe, tutte legate al potere del Cremlino, come hanno certificato i magistrati nella loro attività durata tre anni e mezzo.
I pm coordinati dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale hanno anche evidenziato che al di là della mancanza di elementi sufficienti da portare in un eventuale processo, e per questo chiedono l’archiviazione del reato di corruzione internazionale, la trattativa per portare nelle casse del partito di Salvini svariati milioni di euro non solo c’è stata ma è durata mesi. L’obiettivo dell’operazione lanciata dal fedelissimo del leader leghista sarebbe servita a sostenere la campagna elettorale delle elezioni europee del 2019. Aggiungono, gli inquirenti, che messaggi e conversazioni acquisiti nel corso dell’indagine suggeriscono che Salvini fosse a conoscenza delle manovre in corso.
Per l’esattezza nelle carte dei pm si legge che «sin dall'inizio dell'inchiesta è dunque apparso verosimile che fosse a conoscenza delle trattative portate avanti da Savoini.. volte ad assicurare importanti flussi finanziari al partito, e del resto appare irragionevole ipotizzare che operazioni di tale portata potessero condursi senza un avallo dei vertici politici. Tuttavia, non sono mai emersi elementi concreti sul fatto che il segretario della Lega abbia personalmente partecipato alla trattativa o comunque abbia fornito un contributo causale alla stessa. Non vi sono, inoltre, elementi indicativi del fatto che Salvini fosse stato messo al corrente del proposito di destinare una quota parte della somma ricavata dalla transazione ai mediatori russi perché remunerassero pubblici ufficiali russi. Per tali motivi non si è proceduto ad iscrizione di notizia di reato nei suoi confronti».
Resta perciò il sospetto, solo quello, rispetto al ruolo del segretario all’epoca vicepremier e ministro dell’Interno del governo Lega - Cinquestelle. Al contrario non c’è alcun dubbio sull’esistenza della trattativa imbastita da Savoini, che si è fatto accompagnare in questa ricerca ossessiva di denaro russo dall’avvocato, esperto del settore Oil and Gas, Gianluca Meranda e da Francesco Vannucci, un signore toscano, ex bancario e sindacalista Cisl.
Responsabilità politica
Fin qui la questione giudiziaria. Altra cosa è l’eredità che consegna alla politica il caso Metropol, le sue conseguenze politiche, che chiamano in causa un responsabilità diversa da quella penale. Le certezze emerse dalle inchieste giornalistiche, che ho avuto la fortuna di firmare insieme a Stefano Vergine ai tempi dell’Espresso e del Libro nero della Lega (2019), sono state peraltro riscontrare accuratamente dalla guardia di finanza e confluite in una richiesta di archiviazione che non allontana affatto le ombre sui legami pericolosi tra Lega e il blocco di potere fedele a Vladimir Putin.
I punti fermi sono tre: l’incontro al Metropol che avevamo documentato non era un summit goliardico tra sei amici al bar; il contesto politico in cui si muoveva Savoini è certo, non era lì per conto proprio, per profitto personale; la sera prima della riunione segreta del Metropol, Salvini si trovava a Mosca per un convegno di Confindustria Russia, a margine del quale ha incontrato il vicepremier Dymitri Kozak, che aveva la delega all’energia. Quest’ultimo incontro mai smentito da Salvini e ora confermato anche dai magistrati, l’allora ministro non lo aveva pubblicizzato, non era nell’agenda ufficiale. Scopriamo ora che Kozak è tra i nomi citati dal gruppo Savoini in qualità di persona informata della trattativa in corso.
Basterebbero questi elementi per dare un giudizio politico sulla stagione di Salvini al governo e da segretario di partito. Eppure è ancora lì, come se nulla fosse accaduto. Perché in Italia è ormai diffusa l’idea che sei responsabile solo se commetti un reato. È stato bandito il concetto di opportunità, termine connesso all’etica dei comportamenti e alla dimensione della responsabilità politica delle proprie azioni. L’abbandono di questa dimensione ha portato la politica, da destra a sinistra, a valutare ogni cosa solo con le lenti della magistratura. Per prendere posizione si attende il bollino giudiziario. Una resa che ha sgretolato gli argini al malaffare, ha inibito la prevenzione perché ha reso i partiti sudditi di una sentenza o di un ordinanza del giudice.
Sul caso Metropol hanno scritto di tutto un po’. L’hanno raccontato come una buffonata, peggio come una montatura, alcuni l’hanno paragonata alla vendita della Fontana di Trevi in Totò truffa. Si sbagliavano. Se invece di indossare i panni degli ultras, molti giornalisti avessero studiato i profili degli interlocutori russi di Savoini avrebbero capito di trovarsi di fronte a pezzi grossi di una banda di fedelissimi del presidente Putin.
C’è chi nei giorni scorsi ha persino messo in dubbio la presenza degli autori dello scoop all’hotel Metropol. Su quali basi e con quali prove? Siamo colpevoli di non aver fotografato i protagonisti impegnati a negoziare. Per chi conosce un po’ come funziona il mestiere, quando si è in anonimato, per giunta in uno paese come la Russia, con un visto turistico e non giornalistico per non attirare l’attenzione delle autorità, forse è il caso di rischiare il meno possibile.
E così abbiamo fatto, limitandoci a scattare foto solo quando eravamo certi di non attirare attenzioni indesiderate. Due di queste sono state pubblicate sull’Espresso nel 2019: ritraggono Savoini seduto con Vannucci pochi istanti prima di iniziare la trattativa.
Forse siamo ingenui noi, abbiamo dato più peso alla notizia rispetto alla quantità di foto da collezionare. Per non dire della caccia alle fonti che si è scatenata nei mesi dello scoop. Sport amatissimo tra chi popola l’ambiente dell’informazione italiana. Trovare e crocifiggere le fonti (vedi l’ultima caccia contro Report per la vicenda Renzi) sembra prevalere sulla valutazione delle responsabilità politiche di un partito che anche durante la guerra in Ucraina ha dato il meglio di sé: domani ha rivelato gli incontri segreti tra Salvini e l’ambasciatore russo a Roma per parlare di pace, bypassando il governo di cui faceva parte. Per valutare la responsabilità politica di un leader non serve aspettare l’apertura di un fascicolo del magistrato per giudicarla. Basterebbe che la politica tornasse a fare la politica.
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