Forse la sola identità culturale sopravvissuta alla fine delle ideologie è quella cattolica. Ius culturae, opposizione all’autonomia differenziata, Europa: sono tanti i dossier aperti. La prospettiva comune è “il sentimento dell’altro”, la preoccupazione per tutti e per la società nel suo insieme
Quella cattolica è forse la sola identità culturale sopravvissuta alla crisi di tutte le ideologie»: anche se dispersa «in mille rivoli, quell’identità non solo resiste ma acquista nuova energia». Così scrive Luigi Manconi, portando ad esempio tre momenti recenti di mobilitazione cattolica come il Meeting di Rimini, le Settimane sociali di Trieste e la Route nazionale degli scout di Verona.
A tali appuntamenti c’è da aggiungere Arena di pace con don Ciotti e padre Zanotelli, tenutasi anche a Verona a giugno alla presenza del papa. L’idea è che, al di là di tali raduni, si esprima nel mondo cattolico in maniera forte “il sentimento dell’altro”, cioè una visione della società che punti a coinvolgere tutti senza escludere nessuno.
Contro le divisioni
La contrarietà della conferenza episcopale alla legge sull’Autonomia differenziata espressa alle Settimane sociali nasce proprio dalla preoccupazione dei vescovi (in particolare del Sud, ma non solo) per la tenuta del paese.
Per quanto i capi della Lega si sforzino di spiegare che non si tratta di questo, nessuno crede alle loro parole per il semplice motivo che la Lega ha lavorato sempre e solo per sé stessa o per il proprio territorio: non le è attribuita alcuna credibilità quando prova a parlare per tutti. Un’ulteriore ragione della frattura tra chiesa e Lega è che quest’ultima ha abbandonato da tempo la sua radice cattolico (o se si vuole postdemocristiana), come si vede dalle proposte di Luca Zaia sul fine vita o dal fatto che Matteo Salvini non sventoli più il rosario, ma abbia ripiegato sul libro di Vannacci.
La sollecitudine della chiesa per l’unità del paese non è nuova: anche Giovanni Paolo II ne era molto preoccupato e volle la “grande preghiera per l’Italia”. Tutto ciò che separa non potrà mai trovare l’accordo compiacente dei cattolici o della chiesa in nessuna delle sue espressioni.
Ius scholae e principio di realtà
Piace invece la proposta dello Ius culturae, introdotta da Andrea Riccardi oltre dieci anni fa e oggi ripresa come Ius scholae sia dalle associazioni cattoliche che da alcune forze politiche, tra le quali Forza Italia. Su quest’ultima questione occorre ammettere che entrambe le coalizioni politiche finora hanno eluso ogni risposta, malgrado si tratti, oltre che di un’opera di giustizia, anche di un’urgenza demografica ed economica del paese. Né la destra né la sinistra hanno avuto il coraggio di andare fino in fondo.
Ha ragione Roberto Gualtieri, sindaco di Roma e autorevole esponente del Pd, quando afferma: «Si tratta di una ferita aperta perché come centrosinistra avremmo dovuto approvare una legge già nel 2015». Non si volle fare allora, e oggi la questione rimbalza di nuovo sui tavoli dei partiti come un’emergenza. Se la politica non decide né parla, lo fa la chiesa, accollandosi – come in altri campi – un ruolo di supplenza.
La cultura cattolica pare resistere – come sostiene Manconi – ai cambiamenti in atto proprio perché incarna esigenze collettive di equità e giustizia che non passano. Le altre culture che hanno fatto l’Europa, socialdemocratica e liberale, si sono frantumate perdendo sovente l’aggancio con le proprie radici.
Esistono ormai tante diverse “sinistre”, alcune delle quali imitano la destra, altre alleate al liberismo, altre ancora populiste. Dal canto suo la cultura liberale (che pure ci ha regalato la democrazia) si è persa dietro all’iper liberismo finanziario globalizzante che produce un uomo solo e spaesato.
Così è avvenuto il divorzio tra cultura e politica che ha lasciato spazio al populismo e ai sovranismi. Per i cattolici c’è una differenza: pur dispersi in “mille rivoli” e non coesi politicamente, continuano a riconoscersi nelle attese di carità e giustizia rappresentate dai poveri – quelli sì, sempre presenti – dalle ingiustizie e dalla guerra. Esiste un principio di realtà che richiama i cattolici ai propri doveri civici e sociali dovunque siano (e comunque siano schierati), iniziando dalla difesa della pace e della convivenza comune.
Per un umanesimo europeo
Mentre la spinta propulsiva delle culture politiche fondatrici dell’Europa viene meno, conviene chiedersi in che cosa la cultura cattolica possa contribuire a un’Italia che non si chiuda nella paura o nell’ostilità, a una democrazia che sia equa per tutti, a un’Europa che non sia una semplice sommatoria di interessi.
Sull’Italia i cattolici non si possono accontentare di una comunità nazionale che tragga la sua forza identitaria dal contrapporsi alle altre, né che si basi sulla cultura del nemico, ancorché smussata per non apparire troppo cavernicola. I cattolici devono dire la loro su quale sia una giusta dose di identità corrispondente al nostro umanesimo, alla nostra cultura giuridica e a un giusto equilibrio sociale.
C’è da inventare un rinnovato umanesimo italiano che riscopra il gratuito in un’epoca di mercato, il solidale in un’epoca di individualismo, la cultura del dialogo pacifico in un’epoca di contrapposizioni. Stesso ragionamento i cattolici possono fare sulla democrazia: la sua decadenza a sistema ordoliberista o – peggio ancora – a democrazia illiberale non può lasciarli indifferenti e rassegnati.
Non si tratta di essere a favore di un fallimentare sistema statalista (ancorché ammantato di sussidiarietà) o di mettersi contro il mercato, ma di constatare il fatto che quest’ultimo non sa e non può rispondere a tutte le esigenze della società. Proteggere la democrazia dalle derive illiberali è oggi certamente un compito dei cattolici: scegliere cioè per una società di tutti, che ascolta tutte le esigenze cercando il compromesso.
Infine la domanda sull’Europa: dov’è l’Europa umanista, patria dei diritti che tutti desideriamo? Su questo i cattolici devono riflettere per rilanciare il progetto di integrazione. Non basta rievocare l’Europa sociale di ieri, che le sinistre europee stesse si sono applicate a sminuire accettando le logiche liberiste estranee al loro bagaglio culturale. Troppo facilmente hanno abbandonato la difesa dell’Europa sociale perché costosa, ma i costi umani si sono rivelati molto peggiori.
Occorre negoziare con i liberali per trovare una nuova sintesi. L’Europa di domani non può favorire la politica dello scontro né quella delle armi oggi in voga. Non tanto per un pacifismo ideologico, ma per esperienza: l’Europa è il continente che conosce meglio degli altri quanto le guerre siano inutili e quanto lascino il mondo peggiore di come lo hanno trovato (by the way: è l’opposto dello slogan scout).
Pace e democrazia
L’atroce esperienza delle due guerre mondiali lo dimostra: il never again, il “mai più la guerra”, rappresenta il lascito europeo offerto al mondo. Va ripreso e rafforzato con argomenti concreti: la guerra è uno strumento inutile che prepara conflitti successivi, nutrendo rancore e brama di rappresaglia.
Su tali argomenti i cattolici sono depositari di un magistero teologico e di un’eredità spirituale senza pari che si nutre di un’idea non-nazionalista, cioè non esclusivista, delle relazioni tra paesi e popoli. Per la chiesa ogni conflitto è un terreno impossibile, una caduta nella guerra civile che non può mai essere avallata.
Davanti alla guerra, i cattolici si devono impegnare – anche prima della fine dei combattimenti – a ricercare una via di pace costruendo canali e ponti di dialogo. Il ruolo dei credenti è dare un’anima a strutture ancora troppo economiciste o tecnocratiche, che scadono poi nel populismo o nel suprematismo.
Si tratta di difendere la democrazia mettendo al primo posto l’interesse superiore e la ricerca di senso. Occuparsi di più e meglio delle tragedie altrui, anche quelle lontane, senza l’ambizione di imporre alcunché se non offrire l’apporto della propria cultura umanistica, potrebbe dare a un’Europa spenta una maggiore credibilità e legittimità.
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