Oltre tre milioni di italiani hanno problemi con cibo, peso e immagine corporea, problemi che se non opportunamente intercettati possono trasformarsi in disturbi dell’alimentazione. Questi disturbi uccidono più che ogni altro disturbo mentale. In Italia, nella fascia di età compresa tra i 12 e i 25 anni, anoressia e bulimia rappresentano la prima causa di morte per malattia.

Secondo dati recentemente pubblicati dall’Istituto superiore di sanità, l’età d’esordio si sta drasticamente abbassando: il 30 per cento di chi ne soffre ha meno di 14 anni. Il dato più allarmante è che solo il 10 per cento delle persone colpite riesce a chiedere aiuto e mediamente impegnano circa tre anni, dalla comparsa dei primi sintomi, per rivolgersi ai servizi di cura.

Secondo una ricerca promossa dalla National Eating Disorders Association, negli Stati Uniti ogni 52 minuti una persona muore per cause legate a un disturbo alimentare. Nonostante questo se ne parla ancora troppo poco. I disturbi dell’alimentazione sono malattie mentali gravi e sono il risultato di una complessa interazione di influenze ambientali, biologiche e sociali.

Bullismo

Nel 2018, secondo una ricerca, il 58 per cento dei bambini in età scolare dichiarava di essere stato preso in giro o essere stato vittima di atti di bullismo da parte dei coetanei, a causa del proprio aspetto. Un contesto sociale così altamente giudicante influisce pesantemente sulla comparsa dei disturbi dell’alimentazione tra gli 8 e i 12 anni .

Nel 2012 un altro studio, condotto dal National Health System in Gran Bretagna su persone affette da disturbi dell’alimentazione, ha rilevato che l’86 per cento degli intervistati indicava nel bullismo la causa determinante per l’insorgenza del proprio disturbo. Uno studio più recente ha messo in luce la relazione tra bullismo e il rischio di insorgenza di questo tipo di malattie non solo nelle vittime, ma anche nei bulli. Il rischio raddoppia rispetto ai loro coetanei che non hanno subito o non hanno esercitato bullismo. Quadruplica in chi è stato sia vittima sia carnefice. Dopotutto chi compie questo tipo di atti lo fa perché è estremamente attento alla propria immagine corporea.

Traumi

Un altro fattore di rischio è costituito da traumi come l’aver subito una perdita, essere stati testimoni di un disastro naturale, essere stati coinvolti in un incidente d’auto o aver subito o essere stati testimoni di abusi sessuali o emotivi, di violenza domestica o di stupro.

Secondo uno studio condotto dal National Institute of Mental Health, la prevalenza del disturbo da stress derivante da un trauma, nei pazienti con malattie alimentari, è del 24,3 per cento.

In quest’ottica lo stress emotivo e lo stato di disagio legati alla pandemia hanno indiscutibilmente avuto un ruolo dominante nell’accelerare l’andamento di questi disturbi. Come avviene per tutte le malattie mentali, le barriere che impediscono la richiesta di aiuto sono difficili da superare ma, nel caso dei disturbi dell’alimentazione, sono ancora più insormontabili a causa dell’enorme stigma che li circonda.

Da alcune ricerche emerge che l’atteggiamento nei confronti di coloro che ne soffrono è significativamente più stigmatizzante rispetto a quello verso le persone che soffrono di depressione. E questo di solito impedisce a chi soffre di un disturbo dell’alimentazione di chiedere aiuto in modo tempestivo.

Ancora più preoccupante è il fatto che l’interiorizzazione dello stigma può portare a una maggiore persistenza del disturbo e a una minore autostima. Da alcune ricerche emerge che il 44 per cento delle persone intervistate pensa che ci si ammali per il desiderio di raggiungere un ideale di bellezza mentre il 16 per cento ritiene che soffrire di questi disturbi sia una scelta. Non è così: non si sceglie di ammalarsi di disturbi alimentari.

Chi lo pensa imputa a chi vive questo disagio la responsabilità unica della malattia, lasciando che sia da solo a cercare una soluzione. È sorprendente scoprire che, a volte, sono proprio i genitori degli adolescenti a pensare che il disturbo alimentare del proprio figlio sia una scelta e a stigmatizzarlo.

Per questo è necessaria una maggiore consapevolezza e attenzione. Nessuno dovrebbe più aver paura di chiedere aiuto. Bisogna cambiare la narrativa sui disturbi dell’alimentazione per generare un impatto sistemico che coinvolga istituzioni e soggetti pubblici e privati che vogliano essere parte attiva del cambiamento.

Rompere finalmente il silenzio e rimuovere lo stigma su questi disturbi affinché nessuno debba più provare vergogna, senso di colpa o paura di essere giudicato. Il silenzio sui disturbi dell’alimentazione fa ancora troppo rumore.

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