- Di fronte alla paura dell’arma atomica, molti italiani invocano una pace che significa resa, sono cioè disposti ad abbandonare l’Ucraina al suo destino se questo è il prezzo da pagare per fermare Vladimir Putin.
- Se Putin fosse disposto a trattare, benissimo. Dalla Turchia di Erdogan a Israele, non mancano i possibili mediatori. E vent’anni di convivenza con l’occidente dimostrano che con i dittatori siamo più che disposti a scendere a patti. Ma al momento non è questo il caso.
- L’unico dilemma che siamo chiamati a sciogliere è se la pace si persegua sostenendo l’Ucraina o abbandonandola al suo destino. Chi va in piazza dovrebbe avere l’onestà di chiarire quale pace sta invocando.
Non si può essere equidistanti. Neppure se nel dilemma codificato dal politologo Ivan Krastev si sceglie la pace anche a costo di sacrificare la giustizia.
Di fronte alla paura dell’arma atomica, molti italiani invocano una pace che significa resa, sono cioè disposti ad abbandonare l’Ucraina al suo destino se questo è il prezzo da pagare per fermare Vladimir Putin.
Altri vivono in un delirio da propaganda del Cremlino nel quale il presidente Volodomyr Zelensky è un guerrafondaio circondato da nazisti disposto a sacrificare il suo popolo forse per vanità personale.
Per alcuni ciarlatani da talk show probabilmente gli ucraini hanno fatto saltare il potente in Crimea (territorio ucraino abusivamente occupato dai russi da otto anni) per scatenare una reazione che li facesse passare come vittime. I missili russi su Kiev che fanno strage di civili, insomma, Zelensky se li è cercati.
In questo clima alcuni partiti o movimenti cercano di capitalizzare la paura e la rabbia per le bollette gonfiate e si nascondono dietro una richiesta di pace. Che non vuol dire niente, perché nessun paese occidentale si sta opponendo a negoziati, l’Ucraina non ha modo di far cessare il fuoco perché la vittima e non l’invasore.
L’unico beneficiario delle piazze contro la guerra sarà Putin. Perché il costo politico di sostenere con armi e soldi l’Ucraina salirà, proprio ora che la combinazione tra sanzioni e sconfitte militari incrina la leadership di Putin.
Peraltro, cedere territori ucraini a Mosca non è garanzia di pace: i compromessi sulla Crimea dopo il 2014 hanno soltanto preparato l’invasione del 2022.
Questo è un dibattito troppo complesso per ridurlo a slogan, neppure se gli slogan sono quelli del popolo pacifista.
Domani presenterà e discuterà tutti i punti di vista (come facciamo già in questo numero con Mario Giro e Guido Rampoldi). Ma senza equidistanza: la Russia è l’invasore, la sua dirigenza si è macchiata di crimini di guerra e deve essere processata. E se gli ucraini hanno fatto cose esecrabili, tipo l’attentato all’incolpevole Daria Dugina, anche loro dovranno risponderne. Se non in un tribunale, di fronte alla storia.
L’escalation nucleare la sta promettendo Putin, non la Nato. Le nostre armi all’Ucraina vanno a una guerra di resistenza, i nostri soldi per il gas e il petrolio russo invece vanno a finanziare un’invasione illegale.
Se Putin fosse disposto a trattare, benissimo. Dalla Turchia di Erdogan a Israele, non mancano i possibili mediatori. E vent’anni di convivenza con l’occidente dimostrano che con i dittatori siamo più che disposti a scendere a patti. Ma al momento non è questo il caso.
L’unico dilemma che siamo chiamati a sciogliere è se la pace si persegua sostenendo l’Ucraina o abbandonandola al suo destino. Chi va in piazza dovrebbe avere l’onestà di chiarire quale pace sta invocando.
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