L’attacco della destra contro la magistratura va ben al di là dei 12 migranti portati in Albania e tornati in Italia dopo la sentenza del tribunale civile di Roma che ha negato l’esistenza dei presupposti per trattenerli nei centri italiani dall’altra parte del mar Adriatico e va oltre una figuraccia che dà il segno di questi due anni di governo.

Rappresenta un punto di svolta, chiarisce quale sia la concezione di potere di Giorgia Meloni, il rapporto con le altre istituzioni e con l’Europa, quale sia il collante ideologico che unisce i tre partiti di maggioranza, compresa la componente di Forza Italia che per mesi si è presentata come moderata e liberale.

Non ingannino i ministri e i parlamentari leghisti visti in piazza a Palermo, a sostegno di Matteo Salvini, come fecero i loro colleghi forzisti a Milano nel 2013 in difesa di Silvio Berlusconi. Meloni (e Salvini) non sono il remake dello scontro con le toghe della stagione berlusconiana. Allora intervenivano le leggi ad personam a blindare gli interessi particolari dell’uomo di Arcore, oggi si evoca un decreto ad nationem.

Non si possono mettere in dubbio i fondamenti dello stato di diritto: il controllo di legalità precede e supera i governi di turno, nessuna maggioranza rappresenta l’intero popolo (meno che mai la coalizione meloniana che alle elezioni europee del 2024 ha raccolto meno del 50 per cento con meno della metà degli elettori andati alle urne), ci sono valori e principi che non sono nella disponibilità delle maggioranze pro tempore.

Lo disse l’allora presidente del Parlamento europeo David Sassoli, a Fossoli, l’11 luglio 2021, davanti a Ursula von der Leyen. «Cara Ursula, quando diciamo di salvare i migranti ci dicono che stiamo facendo il gioco degli scafisti. Dicono che la magistratura indipendente o il giornalismo sono espressioni di disordine e che è meglio non agitare il buon senso quando difendiamo la dignità di persone che vogliono amarsi. Ma da noi, in Europa, i diritti delle persone e l’umanità sono la misura di tutte le cose».

La “cara Ursula” era accanto a Sassoli in quella mattina di estate, ora che lui non c’è più può aver dimenticato le sue parole per raccattare qualche consenso utile per il suo secondo mandato a Bruxelles, ma per fortuna non le ha dimenticate un bel pezzo di società civile italiana e europea, soprattutto non le ha dimenticate la corte di giustizia dell’Unione europea che il 4 ottobre, intervenendo sul caso di un richiedente asilo moldavo giunto nella Repubblica ceca, ha stabilito che un paese si definisce sicuro se «in modo generale e uniforme» su tutto il suo territorio non si ricorre mai a persecuzioni, torture o pene e trattamenti inumani o degradanti e se non ci sono minacce dovute «alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno».

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha tuonato contro l’esondazione dei magistrati italiani, la premier Meloni accusa la magistratura di opporsi al suo governo e la segretaria del Pd Elly Schlein di essere anti-italiana, contraria agli interessi nazionali.

È l’idea per cui il popolo coincide con la Nazione che a sua volta combacia con il capo del governo che la rappresenta. «L’alter ego della sovranità popolare è la sovranità nazionale, che il potere forte deve proteggere sia dalle ingerenze della Ue sia dall’ondata migratoria», ha scritto anni fa il politologo ceco Jacques Rupnik in Senza il muro (Donzelli) a proposito dell’Ungheria di Viktor Orbán che ora si vorrebbe esportare in Italia.

È questo che si intende per premierato, di questo si parla quando si vogliono inserire i fedelissimi negli organi costituzionali, come la Consulta. Ma la svolta della destra impone anche alle opposizioni di chiudere subito sfinenti dibattiti auto-referenziali, richieste di chiarimento su questioni francamente minori (tipo Renzi sì-Renzi no), per preoccuparsi finalmente di organizzare l’altra metà del Paese. Quella che non ci sta.

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