- Le proposte di Sergio Labate su dove la sinistra deve ricominciare sono un punto di partenza condivisibile.
- Ma è difficile criticare solo parti del capitalismo. O lo si accetta o lo si abbatte totalmente. Molte critiche parziali del capitalismo derivano da premesse conservatrici.
- E, se non si ritorna alla classe, le uniche soggettività sono la nazione e il popolo, i feticci del fascismo e del populismo. Allora, meglio i diritti individuali.
Su queste pagine, Sergio Labate ha indicato alcuni elementi su cui la sinistra dovrebbe puntare per invertire il lungo ciclo di sconfitte elettorali. Si tratta di un’operazione urgente e trovo convincenti molti punti sollevati. Ma nutro alcune perplessità.
Labate indica tre elementi. La critica del capitalismo, che significa «opporsi a un modello economico in cui la ricerca esasperata e totalizzante del profitto produce distruzione e salvaguardare sfere della società dalla colonizzazione incessante del mercato capitalistico».
Poi il tipo di soggettività. La sinistra ha senso solo se «organizza il malessere e permette il passaggio da un soggetto atomizzato a uno organizzato collettivamente. Nessuno può fare la rivoluzione da solo. La nozione di classe, ormai desueta, aveva proprio questo significato: contrapporre all’individualismo della società capitalistica una produzione di soggetti universali».
L’errore è, secondo Labate, difendere solo diritti individuali, invece che edificare «una soggettività politica in grado di difendere i diritti di tutti», una «soggettività politica che non sia di uno ma di molti». Infine, bisognerebbe ritornare a guardare ai luoghi dove «vengono condizionati i significati sociali prevalenti: la scuola, l’università, i mezzi di comunicazione», e non lasciarli a «riforme ultraliberiste». Bisognerebbe ripartire «dall’urgenza di una cultura popolare, non dal governo», abbandonando l’ossessione per lo Stato e il governo.
Soggettività senza classe
Ecco i miei dubbi. Sulla soggettività. Temo che, senza la nozione marxiana di classe, con le sue caratteristiche socio-economiche e metafisiche, qualsiasi altro riferimento a comunità o gruppi porti o a un comunitarismo di destra o a un populismo di sinistra.
Cioè, in mancanza della classe (e della classe proletaria, avanguardia e portatrice di interessi generali), i gruppi disponibili sono o la nazione o il popolo. O almeno questi sono i gruppi che possono avere (e hanno avuto) una qualche presa sull’immaginario, sulla cultura popolare e sui significati sociali di cui Labate parla.
Capisco che la nozione marxiana di classe sia inservibile nelle nostre condizioni attuali. Ma allora non so se affidarsi alla comunità nazionale o al popolo sia diverso dal fascismo e dal populismo. E non mi pare che la sinistra dovrebbe inseguire il fascismo e il populismo, Bisognerebbe dare una definizione più chiara delle molte soggettività rivoluzionarie di cui si è parlato negli ultimi anni (si pensi all’operaismo italiano) per poterne fare un uso politico vero.
In mancanza di queste definizioni, i diritti individuali sono la cosa migliore che la sinistra possa proteggere. Che la rivoluzione non si faccia da soli è vero. Che l’individualismo possa essere egoismo e la sinistra dovrebbe difendere anche la solidarietà pure.
Ma per agire insieme e non essere egoisti non serve sentirsi parte di una soggettività, tranne che la soggettività non sia la razza umana.
Abbattere o limitare il capitalismo?
Sull’anticapitalismo. Mi sembra difficile addomesticare il capitalismo solo limitando le sue pretese e tenendo certe sfere al riparo. Per dire che alcune cose non si possono vendere né comprare o che in alcuni sfere della vita umana il profitto non può prevalere servono argomentazioni.
Una formidabile argomentazione è che la ricerca del profitto sfrutta i lavoratori ed è iniqua. Ma quest’argomentazione spazza via qualsiasi forma di capitalismo basato sulla proprietà privata. Il capitalismo non va bene mai.
Altre argomentazioni (per esempio quelle aristoteliche di M. Sandel) non avrebbero molta presa elettorale per la sinistra, anche perché alcune di esse le cavalca la destra (si veda la polemica contro lo sfruttamento del corpo delle donne nella gravidanza per altri).
Cultura senza istituzioni politiche?
Sulla cultura popolare. Vero che la sinistra dell’ultimo trentennio è stata ossessionata dal governo e dalla tecnica politica, più che da un orizzonte ampio, culturale. Ma è possibile separare i luoghi della cultura popolare dalle istituzioni politiche?
Ovviamente queste ultime non determinano del tutto i significati sociali, ma forse ne sono in parte determinate. Probabilmente, le interazioni sono ancora più complesse.
Ma essendo, nel bene e nel male, il governo e la politica il luogo dove si cristallizza (più o meno imperfettamente, certo) lo stato dell’opinione pubblica di un paese, possiamo abbandonarlo del tutto? Le riforme ultraliberiste che hanno stravolto scuola e università da dove vengono, se non dal governo? E il mito della priorità della società civile non è stato un modo di criticare proprio i partiti della sinistra agli albori dell’epoca berlusconiana?
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