L’inclusione, che non è cosa semplice, arretra gravata dal peso sempre crescente della complessità reale della nostra scuola, della fatica dei docenti, del disinvestimento governativo, dei disagi post-covid, del clima culturale autoritario e classista
La qualità dell’inclusione nella nostra scuola sta scivolando lentamente sempre più in basso, lungo un piano inclinato di cui non si vede la fine.
L’inclusione, che non è cosa semplice, arretra gravata dal peso sempre crescente della complessità reale della nostra scuola, della fatica dei docenti, del disinvestimento governativo, dei disagi post-covid, del clima culturale autoritario e classista.
L’inclusione scivola ancora un po’ più in basso per il 30 per cento dei docenti di sostegno che hanno ricoperto questo incarico senza titolo di specializzazione, oltre il 40 per cento al Nord.
Perde terreno anche per la confusione normativa e i ritardi legislativi e amministrativi del ministero. E perde continuamente qualità anche per la mancanza politica di una visione evolutiva dell’inclusione stessa, che è ben di più di una buona integrazione scolastica degli alunni/e con disabilità (peraltro anche questa non sempre e dovunque garantita), ma è convivenza rispettosa di tutte le differenze di tutti gli alunni/e.
Questo costante scivolamento in basso è lubrificato dal “pensiero” inclusioscettico dei vari Galli della Loggia, Ricolfi, Mastrocola, Vannacci, che parlano agli scontenti, affaticati e delusi (che pure ci sono), sostenendo, in assoluta ignoranza della ricerca italiana e internazionale, che l’inclusione rallenta l’apprendimento della classe e non è la scelta migliore per gli stessi alunni/e con disabilità.
Queste opinioni in libertà non possono essere rubricate semplicemente come parole dal sen fuggite, sono invece una pericolosa legittimazione della pensabilità di un sistema separato: qualcuno infatti potrebbe pensare che in fondo se ne parlano dei personaggi pubblici, magari tanto sbagliato non sarà.
La questione del sostegno
L’ultimo scivolamento avviene qualche giorno fa, quando Valditara si inventa un doppio canale per la specializzazione sul sostegno.
Accanto, infatti, ai sudati ed onerosi Tfa delle università si apre, attraverso Indire, la possibilità di dare il titolo di specializzazione a chi lo ha “conseguito” all’estero e a chi ha lavorato per tre anni sul sostegno.
Chiaramente una sanatoria, per poter dotare di un titolo migliaia di docenti che ne sono privi.
Premettendo che sicuramente Indire farà corsi validissimi, perché Indire è una realtà assolutamente competente, mi pare inequivocabile lo schiaffo ai Tfa dei vari atenei italiani, che in questi anni si sono impegnati (chi più e chi meno) nel formare i docenti di sostegno. Lo schiaffo si diffonde poi ovviamente ai corsisti, che hanno fatto prove di ammissione e pagano tasse salate, oltre che frequentare corsi e laboratori, tirocinio, ecc.
Si rallegreranno le università straniere, che vedranno riconosciuto lo sforzo dei docenti emigrati. Sforzo anche economico, oltre che di studio, un dato tra i tanti: presso le “università statali spagnole” con modici 3. 980 euro tutto compreso ci si potrà specializzare.
Si rallegreranno i docenti precari non specializzati che vedranno riconosciuta l’esperienza raccolta sul campo nei tre anni di lavoro, che per loro avrà reso superfluo il Tfa.
Si rallegreranno le associazioni dei familiari, che continuano a invocare la qualità e la formazione dei docenti di sostegno, talvolta criticando la pochezza dei Tfa delle Università, e adesso si dovranno ingoiare il rospo di questa sanatoria?
I colleghi docenti universitari, che hanno diretto i Tfa in questi anni, con fatiche e preoccupazioni, scenderanno in piazza con le guance brucianti contro questo ennesimo scivolamento in basso?
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