Il campo delle democrazie liberali non vincerà la sfida con le potenze autoritarie se non saprà convincere del fatto che i suoi valori, cioè il rispetto dei diritti umani a partire dalle libertà civili e politiche, sono preferibili, per tutti, e hanno valore universale.

Questa strada è anzi l’unica che abbia senso davvero percorrere nel medio e lungo periodo, dato che l’altra – la guerra – conduce alla rovina. Ciò non vuol dire naturalmente che non bisogna farsi trovare preparati a ogni evenienza (e nel breve periodo, per esempio, difendere l’Ucraina). Ma dobbiamo essere consapevoli che a lungo andare l’unica arma forse decisiva è la libertà: ci rende più forti, non più deboli.

Perché la possibilità per ciascuna e ciascuno di ricercare la propria felicità, e di poter dire e scrivere liberamente quello che pensa, è uno dei motivi per cui tante persone preferiscono vivere qui; e poi perché la libertà di critica contribuisce a migliorare la politica, l’economia e la scienza, se non altro perché diventa più facile riconoscere gli errori.

Se questa è la nostra forza, oggi va difesa per prima cosa al nostro interno. Ben vengano le critiche europee al governo italiano sulla libertà di stampa! Sono sacrosante. E massima dev’essere la condanna verso una presidente del consiglio che risponde attaccando i giornali di opposizione e le ong (avvalorando così quelle critiche, involontariamente). Ma questa forza va difesa anche, forse soprattutto, nella nostra proiezione internazionale. Uno dei motivi per cui si è indebolita è proprio il fatto che in questi decenni siamo stati profondamente incoerenti nella difesa dei diritti umani e del diritto internazionale. Abbiamo spesso applicato un doppio standard.

Così hanno fatto gli Stati Uniti, sin dall’epoca della Guerra fredda, con il risultato di minare gravemente la propria autorevolezza ad esempio in America Latina, e poi dopo l’attacco alle Torri Gemelle, da Guantanamo all’Iraq. La stessa Unione europea, che pure è riuscita faticosamente a risollevarsi dagli abissi delle due guerre mondiali, del nazi-fascismo e dell’imperialismo, ha in questi anni accettato le gravissime violazioni dei diritti di cui sono vittime le persone migranti, in Nord Africa e nel mar Mediterraneo.

Il doppio standard c’è, poi, nei confronti dei nostri alleati: verso di loro, in nome di un male inteso realismo noi tendiamo più facilmente a chiudere un occhio, proprio perché nostri alleati (come l’Arabia Saudita) e liberal-democrazie (Israele). Ma in realtà, siamo proprio noi i primi che dovremmo chiedergli conto delle loro violazioni dei diritti: perché quelle violazioni tradiscono innanzitutto i nostri valori (non quelli dei nostri avversari).

In questi giorni, alle due guerre si è aggiunto un dramma in un paese il cui regime aveva affascinato anche una parte (minoritaria) della sinistra occidentale: il Venezuela. Dal 2015, circa 8 milioni di venezuelani hanno lasciato il loro paese, più di un quinto della popolazione: per la crisi economica, la repressione e anche per l’altissimo numero di omicidi. Ora il presidente Maduro ha impedito alla candidata più popolare di correre alle elezioni e, quindi, si è dichiarato vincitore senza che fosse possibile verificare il voto. Il mondo libero fa bene a condannare quello che sta succedendo.

Ma le forze progressiste e democratiche, nel condannarlo (come fanno), hanno un motivo in più: perché quel regime che dice di lottare per la giustizia e l’emancipazione dei popoli, nel violarle e calpestarle così platealmente fa un male a chi per quei valori combatte davvero. È la sinistra, innanzitutto, che ha il dovere politico e morale di condannare Maduro.

Per gli stessi motivi, in Occidente siamo proprio noi che amiamo la democrazia liberale e i diritti, di sinistra e non solo, che abbiamo il dovere di condannare i crimini di Netanyahu, la strategia dell’occhio per occhio e l’escalation militare, e la logica dei «due pesi e due misure». Se non lo facciamo, abbiamo già perso.

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