È da apprezzare la scelta del governo che ha creato un dicastero ad hoc sul mare affidato a Nello Musumeci; preoccupa però che la dispersione delle deleghe tra diversi ministeri in materia di porti, di competenza di Matteo Salvini, e di Zes, attribuita a Raffaele Fitto, non favorisca un approccio unitario al problema che invece richiede grande attenzione, visione e tempestività. Oggi i porti, quelli meridionali, segnatamente Gioia Tauro, Augusta, Palermo, Catania, Bari, Taranto e Napoli, sono strategici al pari se non più di Trieste e Genova, nella misura in cui l’Italia intenda riappropriarsi del rango che le spetta nel Mediterraneo.

Una priorità che, se per noi è vitale, lo è sempre più per l’Europa alla luce non solo delle guerre in corso e dell’emergenza energetica, ma anche per la drastica ristrutturazione e riconversione della globalizzazione. In questa prospettiva, il fatto che l’economia meridionale contribuisca oggi solo per il 10 per cento all’export nazionale evidenzia quanto poco efficace sia ancora l’attenzione a sviluppare una rete di connessioni con la sponda sud del Mare Nostrum e – ancor di più e da decenni – la capacità di intercettare i traffici che da Suez transitano per il Mediterraneo per dirigersi alle svariate destinazioni sul continente.

Da anni la Svimez sollecita lo sviluppo dell’intermodalità marittima e ferroviaria, che, oltre a giocare un ruolo determinante per la crescita e la connessione coste-zone interne del Mezzogiorno, risulta essenziale per conferire all'Italia la sua naturale centralità logistica di area.

C’è una nostra imperdonabile sottovalutazione dei tanti vantaggi competitivi che potremmo trarre grazie alla nostra posizione. Il Sud ha evidenziato ottime performance nei comparti del traffico marittimo Ro-Ro e container, dimostrando come vi sia un ampio spazio di mercato per il trasporto intermodale e combinato gomma-ferro e gomma-mare di adduzione ai porti meridionali, lungo i Corridoi intermodali marittimi costieri tirrenico e adriatico.

La riconversione modale

Rafforzare questa prospettiva contribuirebbe in modo significativo a raggiungere gli obiettivi del Green Deal, che la Commissione europea ha fissato per il settore dei trasporti nella riduzione al 2030 delle emissioni di gas serra del 40 per cento per l’Europa e del 43,7 per cento per l’Italia. Raggiungere con la riconversione modale obiettivi così ambiziosi richiederebbe lo spostamento di circa 15 milioni di tonnellate di merci dall’autotrasporto al trasporto marittimo.

Tali obiettivi potrebbero essere oggetto di un nuovo Piano dell’intermodalità̀ e della logistica sostenibile da implementare a larga scala: sarebbe, al contempo, un vero e proprio Piano del lavoro, colmando il vuoto di una grande occasione mancata dal Pnrr.

In quest’ottica le Autostrade del mare, in particolare lungo le dorsali tirrenica e adriatica, integrate con collegamenti ferroviari internazionali, possono rappresentare innovative modalità da rendere progressivamente sempre più sostitutive anziché complementari al trasporto stradale. Già ora il pur marginale avvio delle Autostrade del mare ha risparmiato 680mila tonnellate di CO2, equivalente all’emissione annua di una città di un milione di abitanti. E la realizzazione e trasformazione di infrastrutture portuali in piattaforme logistiche evolute, sia in termini di capacità che di servizi offerti in connessione con altri hub del Mediterraneo e con la rete di trasporti europea, è una prospettiva di importanza strategica globale.

L’Italia è prima al mondo in questo settore decisivo della logistica, con oltre 250 vettori per più di 5 milioni di tonnellate di stazza. In particolare, nel trasporto passeggeri, il mercato italiano è in testa tra i paesi dell’Unione europea con poco meno di 25 milioni di persone, esclusi i crocieristi, su tratte internazionali. Ai porti del Mezzogiorno fa capo in prospettiva lo sviluppo delle reti delle Autostrade del mare, formula che ripropone in prospettiva un disegno chiarissimo che recupera l’attualità di una storica via italiana di rapporto con il mare, all'insegna non del conflitto ma di relazioni e sviluppo che ha fatto scuola nel mondo.

Oggi, in un Paese a dir poco disorientato, il nostro vantaggio posizionale torna a rappresentare il prezioso fulcro sul quale far leva per riattivare al Sud quel motore meridiano, a lungo marginalizzato, più che mai indispensabile per garantire identità, rango e funzione all’Italia in Europa.

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