- Ridurre il superbonus al 90 per cento ne fa diminuire un po’ costi e inefficienze, ma ne aumenta lo squilibrio a favore dei benestanti. Così lo Stato finanzia la transizione energetica dei più ricchi.
- L’alternativa è un piano di investimenti che affidi la transizione energetica alla regia pubblica, e parta dalle abitazioni che si trovano nelle fasce energetiche più basse, sul modello del piano Ina-Casa degli anni 1950.
- Di questi temi parleremo all’evento Speranze Climatiche di Domani a Torino, sabato 3 e domenica 4 dicembre. In particolare nel dibattito di sabato pomeriggio alle 16.15. Trovate qui il programma completo.
Tutti i dati ci dicono che stiamo facendo troppo poco per evitare la catastrofe ambientale. Nonostante ciò, anche nella Cop27 alla fine si è auspicata soltanto l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili (si è detto: smettiamo almeno di finanziarle con fondi pubblici).
Subito dopo, il nostro governo ha scelto di fare esattamente l’opposto: quasi i due terzi della manovra finanziaria, 21 miliardi su 35, sono destinati a fronteggiare il caro energia. Cioè, in larghissima parte, a sussidiare il consumo di fonti fossili.
Certo, intervenire sul caro energia è inevitabile. Il punto è che bisognava attrezzarsi per tempo: se ci fossero stati negli scorsi anni significativi investimenti nel solare, ora il consumo di fonti fossili, e i soldi (i sussidi) che dobbiamo mettere per fronteggiare il caro bollette, sarebbero già minori.
In questi anni, il principale strumento per finanziare (in parte) la conversione al solare è stata il Superbonus al 110 per cento: una misura costosa e inefficiente, sbilanciata a favore dei benestanti, aleatoria nei risultati.
Adesso viene ridotto al 90 per cento: questo fa diminuirne un po’ i costi e l’inefficienza, ma ne aumenta lo squilibrio a favore dei benestanti.
Noi stiamo, con fondi pubblici, finanziando la transizione energetica dei più ricchi, con il risultato di fare aumentare le disuguaglianze e di farlo dove queste sono più dolorose e ingiuste (nella capacità di fare fronte alle bollette, nella ricchezza immobiliare).
La soluzione è un piano di investimenti che affidi la transizione energetica alla regia pubblica, e parta dalle abitazioni che si trovano nelle fasce energetiche più basse. Un piano sistematico, volto al benessere dei cittadini e dell’ambiente, che vada innanzitutto a favore di chi ne ha più bisogno.
Qualcosa di analogo, per ambizione e funzionamento, al piano Ina-Casa lanciato da Fanfani negli anni Cinquanta (attività che, se bene impostate, hanno un moltiplicatore elevato che ne ripaga in buona parte i costi). Una scommessa non facile, certo, date le condizioni dell’amministrazione pubblica e delle leggi in Italia. Ma a cosa deve servire la politica se non ad affrontate queste sfide?
Si è già perso molto tempo (e soldi). Avanzai infatti questa proposta in un editoriale su Domani del 3 giugno 202. Era un anno e mezzo fa.
Prima della crisi delle bollette, che ha reso il tema ancora più attuale. Ma già allora, la classe politica preferì la disintermediazione dei bonus all’onere di assumersi in prima persona la responsabilità delle scelte.
Adesso, il governo Meloni mantiene la stessa linea: riducendo forse gli sprechi, ma orientandosi ancora di più a favore dei ricchi. Del tutto incurante di quello che invece una politica seria dovrebbe fare, in questa fase drammatica.
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