L’accanimento terapeutico con cui si cerca di fare funzionare il Concordato preventivo biennale, da cui il governo si aspettava entrate tali da finanziare la riforma fiscale, fa un altro passo verso lo sbraco totale.

Con un emendamento al decreto Omnibus ora in Senato, i tre partiti di maggioranza propongono un articolato condono epocale, in tre mosse, su quanto non versato negli ultimi 5 anni dai contribuenti che aderiscono al concordato. Un meccanismo talmente spudorato da essere quasi non raccontabile: su quanto hai evaso non paghi interessi e sanzioni, paghi aliquote ridottissime, non su tutto, ma solo su una percentuale che va dal 50 per cento fino al 5 per cento per gli evasori più “affidabili”, e per i due anni del Covid tutto si riduce di un ulteriore 30 per cento.

Ah, dimenticavo, è previsto il pagamento in comode rate. Questo non è che l’ultimo atto di una storia a tappe che vale la pena di riassumere. Il Concordato preventivo è nato come lo strumento con cui il governo si proponeva di contrastare l’evasione fiscale sui redditi di lavoro autonomo e piccola impresa. Passando da una logica punitiva a una logica di dialogo, di accordo.

All’inizio il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo lo raccontava così: abbiamo banche dati articolate che ci permettono di ricostruire con precisione quanto i singoli contribuenti dovrebbero pagare. Possiamo quindi concordare con loro il reddito da dichiarare al fisco, per il biennio successivo. Dandogli in cambio la tranquillità di non subire accertamenti.

Danni per l’erario

Sorvolando sul fatto che se di un contribuente conosci tutto non dovrebbe essere difficile fargli pagare le giuste imposte, il meccanismo proposto si presentava da subito molto debole come contrasto all’evasione. Poiché l’adesione al concordato è volontaria, è evidente che aderiranno solo i contribuenti che pensano di potere avere un reddito effettivo più alto di quello concordato, che, per la quota eccedente, risulterebbe quindi esente da imposta.

La proposta escludeva quei contribuenti che il fisco giudica inaffidabili, sulla base di appositi indicatori, denominati Isa. Anche perché è proprio sulla base di questi indicatori che si pensava di costruire la proposta di concordato. Per i forfettari, che non hanno gli Isa, la proposta riguarda il solo 2024. Un bel favore, visto che la decisione sulla adesione può essere presa a fine ottobre, quando il contribuente conosce con sufficiente precisione il reddito dell’anno e può quindi valutare con sicurezza la sua convenienza.

Sconti e regali

Poi è cominciata l’indecorosa svendita. Prima si è allargata la proposta a tutti i contribuenti con pagella Isa brutta o molto brutta, cioè a conclamati evasori, e subito dopo si è fatto un clamoroso sconto su quanto chi aderisce al concordato deve versare, ipotizzando, per il reddito dichiarato in più rispetto al 2023, aliquote piatte basse o bassissime, dal 3 al 15 per cento.

E questo mentre i lavoratori dipendenti che hanno portato a casa, dopo ritardi anche di anni, rinnovi contrattuali che solo in parte li compensano per le perdite subite con l’inflazione pagano sugli incrementi contrattuali le aliquote Irpef ordinarie (23,33 e 43 per cento). Poi si è fatto uno sconto su quanto pagare in acconto. La motivazione: rendere il concordato più attrattivo.

Lo Stato si presenta cioè con il cappello in mano a chiedere la cortesia di pagare un obolo alla comunità a particolari categorie di soggetti che si contraddistinguono per un’evasione media pari, secondo il ministero dell’Economia, al 67 per cento del proprio reddito. Un segnale di impotenza? Sembrerebbe, dal momento che per giustificarlo Leo ricordava che questi contribuenti sono normalmente sottoposti a un numero di controlli risibile. O è piuttosto il solito ammiccamento agli evasori di cui si vogliono lucrare i voti?

Questi mega premi a chi evade distruggono alla radice la filosofia solidaristica necessaria a garantire un fisco in grado di sostenere il nostro sistema di welfare. Un vantaggio per alcuni, un danno, irreparabile, per tutti.

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