- Le facce della diseguaglianza sono varie. Le più subdole sono quelle confezionate in modo da apparire ragionevoli riforme, rispondenti ad esigenze di funzionalità, di rigore e persino di equità.
- La logica di questa faccia subdola è che la diseguaglianza possa essere equa, che sia giusto trattare inegualmente chi si trova in difficoltà, soprattutto se non è stato capace di raggiungere gli stessi traguardi di chi sta meglio.
- Questa è in soldoni la logica dell’“autonomia differenziata” o “regionalismo differenziato”. La Lega ne fa un cavallo di battaglia. Il Pd non è per nulla chiaro. Le regioni del centro-nord, non importa se a guida leghista o democratica, condividono questa logica
Le facce della diseguaglianza sono varie. Le più subdole sono quelle confezionate in modo da apparire ragionevoli riforme, rispondenti ad esigenze di funzionalità, di rigore e persino di equità. La logica di questa faccia subdola è che la diseguaglianza possa essere equa, che sia giusto trattare inegualmente chi si trova in difficoltà, soprattutto se non è stato capace di raggiungere gli stessi traguardi di chi sta meglio.
Questa è in soldoni la logica dell’“autonomia differenziata” o “regionalismo differenziato”. La Lega ne fa un cavallo di battaglia. Il Pd non è per nulla chiaro. Le regioni del centro-nord, non importa se a guida leghista o democratica, condividono questa logica. Non ci si faccia ingannare dai “distinguo” di alcuni candidati in corsa per la segreteria del Pd.
Vediamo di capire la logica della diseguaglianza funzionale, applicata alle regioni. Si tratta di un criterio che fa del merito il principio di redistribuzione (una blasfemia per chi crede nella giustizia sociale): ciascuno sta laddove merita di stare e le buone regole sono quelle che si accordano a questo principio; se l’attore non riesce entra in azione, finanze permettendo, lo Stato.
Per alcuni candidati Pd, da questa politica del sussidio devono essere tenute fuori quelle cose strettamente necessarie alla vita della nazione: scuola dell’obbligo (ma non necessariamente buona per tutti e dovunque) e sanità (minima assistenza, non necessariamente la copertura di tutte le necessità). Il minimo per vivere può essere oggetto dello Stato. Il resto è lasciato al potere attuativo degli attori regionali. La proposta di regionalismo differenziato rientra in questa logica della diseguaglianza funzionale.
Essa dice questo: le regioni del centro-nord producono la maggior parte della ricchezza nazionale; devono poter trasferire allo Stato non in rapporto a quel che ad esso serve per tenere in piedi una politica di perequazione tra tutte le parti del territorio della Repubblica. Le regioni ricche hanno l’esigenza di preservare i loro livelli di vita e devono poter disporre di più risorse in proporzione. Più sono forti e più si rafforzano, all’opposto delle altre. In parte questo sta già avvenendo: la sanità è un bene pubblico (per i cittadini della regione) ma diventa un bene di consumo per le altre regioni se i loro cittadini hanno bisogno di accedervi.
La politica del regionalismo differenziato è fatalmente destinata a produrre progressivamente più diseguaglianza, e comunque a non appianare le diseguaglianze: essa renderà le regioni del centro-sud clienti dei servizi prodotti al centro-nord perché avranno sempre meno risorse necessarie a riqualificare i loro servizi. Il regionalismo differenziato è un affare lucrativo che genera diseguaglianza. È l’opposto di quanto prescrive l’articolo 3 della Costituzione. I candidati del PD saranno corresponsabili di questa torsione inegualitaria?
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