- Mercoledì 2 marzo il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha annunciato l’apertura ufficiale delle indagini sui crimini internazionali che si stanno commettendo in Ucraina da parte della Russia.
- La richiesta è stata avanzata da 39 stati parte del Trattato. In questo modo si ridurranno significativamente i tempi della giustizia penale internazionale, permettendo alla procura di procedere immediatamente alla raccolta, conservazione e analisi delle prove.
- Si auspica che l’attivazione della Corte svolgerà una funzione di deterrenza rafforzando il rispetto delle regole di diritto umanitario, quelle cioè che si applicano nel corso di un conflitto armato.
Mercoledì 2 marzo il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, sollecitato dalla richiesta (tecnicamente referral) avanzata dapprima dalla Lituania e in seguito da altri 38 stati parte del trattato sulla Corte, ha annunciato l’apertura ufficiale delle indagini sui crimini internazionali che si stanno commettendo in Ucraina. Sebbene Khan avesse già annunciato nei giorni scorsi detta intenzione, la richiesta proveniente da un gruppo tanto numeroso di stati, tra cui l’Italia e tutti gli stati dell’Unione europea, rappresenta un segnale forte.
Il diritto di veto
Per capirne la portata occorre accennare alle modalità di azione della Corte, articolata intorno a due scenari. Nel primo l’azione del procuratore è subordinata all’adozione da parte del Consiglio di sicurezza Onu di una risoluzione adottata senza che nessuno dei cinque membri permanenti (Usa, Federazione Russa, Cina, Regno Unito e Francia) eserciti la prerogativa di cui dispone dal 1945: il cosiddetto diritto di veto.
In questa ipotesi il potere dell’organo d’accusa è molto ampio: può avviare un’inchiesta ovunque e nei confronti di chiunque, a condizione però – e non è questo il caso – di un generale consenso tra i cosiddetti “Big five”.
Diversamente, nel secondo scenario, il procuratore agisce di propria iniziativa (proprio motu) oppure su richiesta (referral) di uno stato parte al Trattato. Qui la sfera d’azione è molto più limitata: occorre infatti che il crimine sia compiuto nel territorio oppure a opera di un cittadino di uno degli stati che fanno parte del Trattato istitutivo della Corte, con la significativa differenza che nel solo caso in cui l’organo d’accusa proceda di propria iniziativa occorre ottenere un’autorizzazione della Camera preliminare prima di procedere alla fase investigativa.
Tempi ridotti
Ecco perché la richiesta appena avanzata da 39 stati parte è così importante: essa ridurrà significativamente i tempi della giustizia penale internazionale, permettendo alla procura di procedere immediatamente alla raccolta, conservazione e analisi delle prove.
A questo occorre aggiungere che, a causa di alcuni problemi di compatibilità con la propria Costituzione – che riconosce le immunità delle più alte cariche, mentre la Corte non le permette – l’Ucraina non è ancora parte del Trattato sulla Corte. Essa però ne ha accettato la giurisdizione tramite una dichiarazione ad hoc, una possibilità riconosciuta per casi particolari come questo.
Lo ha fatto dapprima con riferimento alle violente repressioni di piazza Maidan, per poi estendere la richiesta a qualunque “crimine di guerra”, “contro l’umanità” o “genocidio” compiuto sul territorio ucraino a partire dal novembre 2013.
Ritornando alla Corte penale internazionale, tra coloro chiamati a rispondere delle accuse potrebbero risultare, oltre gli esecutori materiali e i superiori gerarchici civili e militari, i più alti decisori politici, incluso il presidente Vladimir Putin.
Resta da verificare se la minaccia di procedimenti in particolare per crimini contro l’umanità (come le uccisioni compiute nel quadro di un attacco generale o sistematico contro la popolazione civile), e per crimini di guerra (come il bombardamento di città, villaggi, abitazioni o costruzioni che non siano difesi e che non costituiscano obiettivi militari), possa supportare oppure ostacolare, in questa fase delicata, il processo di pace.
Effetto deterrenza
Si auspica che l’attivazione della Corte svolgerà una funzione di deterrenza rafforzando il rispetto delle regole di diritto umanitario, quelle cioè che si applicano nel corso di un conflitto armato. Inoltre, sebbene per poter procedere in giudizio occorra che il sospettato si trovi fisicamente nella disponibilità della Corte, la portata anche solo potenziale dell’emissione di un mandato di arresto nei confronti di un’autorità non è da sottostimarsi in quanto impedirebbe, ad esempio, ogni spostamento presso uno dei 123 stati parte del Trattato sulla Corte – altrimenti obbligati a consegnarlo alla Corte – limitandone significativamente il peso sul proscenio internazionale.
Nonostante l’assordante frastuono dei bombardamenti e pur tra mille limiti e impedimenti, tra le armi non tace più il diritto.
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