- Due anni di pandemia ci hanno insegnato che trovare una soluzione significa essenzialmente spostare un problema: tradurre il danno da un sistema a un altro sistema, ad esempio da quello sanitario a quello economico, meno fragile nel breve termine.
- L’aperturista non ha ancora capito che oltre un certo livello di propagazione del virus, foss’anche la banale influenza, il sistema si chiude da solo. Al chiusurista sfugge invece che se anche la sua strategia fosse la migliore sulla carta, essa è inapplicabile sul lungo periodo con gli strumenti legali di cui disponiamo, con l’assetto istituzionale del paese e con le aspettative della popolazione.
- Aperturisti e chiusuristi, insomma, non hanno ancora capito che la soluzione sta nel mezzo. Ma di soluzioni intermedie ce ne sono svariate ed è qui che bisogna negoziare per trovare non la migliore
Due anni di pandemia ci hanno insegnato che trovare una soluzione significa essenzialmente spostare un problema: tradurre il danno da un sistema a un altro sistema, ad esempio da quello sanitario a quello economico, meno fragile nel breve termine; o riassegnare il rischio da una fascia di popolazione all’altra, che sia in grado di assorbirlo subendo minori conseguenze.
Queste opzioni sono inevitabilmente politiche, nel senso che non possono essere dedotte ma richiedono una decisione sovrana e una negoziazione tra le parti.
Negoziare? È una parola. Due anni di pandemia hanno anche, comprensibilmente, teso oltre misura il rapporto tra le parti.
Sul piano filosofico l’opposizione è netta, con due estremità dello spettro che oppongono alla necessaria negoziazione i loro valori non-negoziabili: da una parte la preservazione della vita umana anche a costo di consegnarsi al dispotismo tecnologico e burocratico; dall’altra la preservazione dei principi della civiltà liberale anche a costo di provocare la morte di innumerevoli persone.
Navighiamo al buio
Conflitto valoriale reso più complesso dalla presenza di una spaventosa incognita: il numero di vittime a cui può arrivare ogni ondata prima di superare il picco. Su questo imponderabile, un virologo ha pressapoco la medesima probabilità di azzeccare il dato rispetto al più eccentrico dei terrapiattisti. Filosofiamo (e pianifichiamo) nel buio.
Due anni di pandemia, d’altra parte, ci hanno soprattutto mostrato che i dibattiti filosofici servono poco a fronte di una situazione che impone lei stessa, quasi meccanicamente, una qualche forma di mediazione tra i due estremi. Non a caso le politiche dei diversi governi occidentali tendono a convergere tra loro, mentre alcuni leader d’opinione si polarizzano su posizioni massimaliste.
L’aperturista non ha ancora capito che oltre un certo livello di propagazione del virus, foss’anche la banale influenza, il sistema si chiude da solo: scuole, mezzi pubblici, ospedali sono paralizzati.
Al chiusurista sfugge invece che se anche la sua strategia fosse la migliore sulla carta, e forse lo è dal punto di vista del contenimento della pandemia, essa è inapplicabile sul lungo periodo con gli strumenti legali di cui disponiamo, con l’assetto istituzionale del paese, con le aspettative della popolazione, insomma con il “rumore” che confonde il segnale di ogni politica governativa.
Lo stato italiano si è dato degli obiettivi di contenimento drastico che non è in grado di garantire senza drammatici effetti sulla salute psicologica, sociale ed economica dei cittadini: ne siano prova le numerose testimonianze di individui intrappolati nella burocrazia del green pass perché non riescono a fare la loro terza dose di vaccino o perché non viene loro rilasciata una certificazione di guarigione.
Aperturisti e chiusuristi, insomma, non hanno ancora capito che la soluzione sta nel mezzo. Ma di soluzioni intermedie ce ne sono svariate ed è qui che bisogna negoziare per trovare non la migliore, ma la più adatta ai mezzi di cui disponiamo. Ci vuole realismo: dopo due anni di pandemia, le questioni di principio sono un lusso che non possiamo permetterci.
© Riproduzione riservata