- Non c’è paesino che non ospiti insospettabili concentrazioni di esperti, capaci di parlare di quasi tutto con assoluta convinzione e inoppugnabili certezze.
- Tanto più la realtà è complicata, tanto più è essenziale tenere naso e orecchie a terra, per annusare gli odori e cogliere i sentimenti. La pandemia ci ha costretto ad accettare che si può essere grandi filosofi ma capire pochissimo di matematica ed epidemiologia.
- Capiamo bene che i talk televisivi hanno per missione quella di intrattenere semplificando, ma questo non è il loro solo dovere.Per molte persone, la televisione rappresenta ancora il principale mezzo di informazione e la base su cui si formano le opinioni.
Chi come noi vive in campagna sa che non c’è paesino che non ospiti insospettabili concentrazioni di esperti, capaci di parlare di quasi tutto con assoluta convinzione e inoppugnabili certezze.
Il Covid imperversa? Il bar del paese si trasforma in un ricettacolo di informazioni che potrebbero salvarvi la vita. Faticate a farvi un’idea sull’invasione dell’Ucraina? Gli stessi esperti sapranno offrirvi perspicaci commenti e fulminanti note di saggezza.
Perché la principale caratteristica dell’esperto di paese è proprio questa: è un esperto, a prescindere dal problema che vorrete sottoporgli. Certo, magari gli sfuggono i dettagli, ma le analisi, si sa, volano alto e spesso hanno poco a che fare con quello che accade sulla terra.
Che sia chiaro, a noi gli esperti di paese stanno molto simpatici. La gioia di certe loro surreali conversazioni assume però un che di rancido quando ne incontriamo una versione meno benevola in alcuni dei più popolari salotti televisivi, dove a offrire giudizi che appaiono del tutto separati dalla realtà sono celebrati esperti nazionali.
La via svedese
Prendiamo uno degli esempi più recenti. Ci viene detto e ripetuto che l’Ucraina dovrebbe accettare una “comoda” posizione di neutralità disarmata su modello svedese perché le ragioni storiche e geografiche lo impongono.
Davvero? Avremmo pensato l’opposto. Ci pareva che proprio il fatto di aver sperimentato la dominazione russa per gran parte della propria storia, la convinzione che l’Unione sovietica abbia deliberatamente causato la morte per fame di qualche milione di ucraini negli anni ’30, e i continui tentativi fatti da Vladimir Putin di manipolare la neonata democrazia ucraina, rendessero la via svedese non proprio appetibile.
Il compianto Giovanni Sartori avrebbe forse ricordato che si possono comparare le mele con le pere, ma non le pietre con i conigli. O dobbiamo concludere che le ragioni geografiche e politiche invocate da tanti osservatori italiani valgono soltanto per la Russia? Si tratterebbe allora non tanto di considerazioni “geopolitiche” ma di puro ritorno alla legge della forza.
Lo scacchiere internazionale
Si potrebbe aggiungere che la comparazione fra un’Ucraina demilitarizzata e neutrale e la Svezia è particolarmente fuorviante visto che la Svezia è stata e rimane uno dei paesi più armati in Europa, con una strettissima cooperazione segreta con la Nato durante la Guerra fredda.
È questo lo scenario che i nostri esperti hanno in mente? È più che possibile che l’Ucraina sia costretta ad accettare qualcosa che chiameremo neutralità, ma siamo onesti, non avrà niente a che fare con la Svezia.
Nei talk italiani si ama molto parlare dello scacchiere internazionale, riducendo la lotta per la sopravvivenza individuale e nazionale che si svolge davanti ai nostri occhi a una sorta di gioco tattico, astratto e disanimato.
Avendo forse ancora in mente il classico trattato di Zbigniew Brzezinski The Grand Chessboard (1997), i nostri commentatori paiono convinti che le azioni umane, anche le più tragiche e definitive, non dipendano dalle condizioni specifiche, contraddittorie e faticose da comprendere, ma siano in ultima istanza governate solo dai rapporti di forza fra grandi potenze. Quello che succederà in Ucraina, ci viene detto, dipenderà dalle azioni e reazioni di Russia, Cina e Stati Uniti. E gli ucraini? Pedoni, sacrificabili per salvare la regina.
Le voci dei protagonisti
Perché complicare lo schema di gioco che ci pare più razionale (tipo, la Russia è più forte, l’Ucraina può solo essere sconfitta, dunque meglio che cada subito e metta fine a questa grana) con le voci dissonanti dei protagonisti?
Pare questa la logica della giornalista bon ton che ogni sera invita ospiti ucraini solo per domandargli come va a casa, pronta a togliere loro la parola appena si mettono a parlare di politica e a esprimere la loro versione delle cose. Molto meglio lo scacchiere internazionale in cui i pezzi si muovono silenziosamente e non ci dicono cose che magari non vorremmo sentire. Meglio, insomma, l’analista generalista.
Solo che perché lo scacchiere abbia senso, bisognerebbe almeno avere una qualche idea di come disporre i vari pezzi degli scacchi. Non solo perché altrimenti si rischiano effetti involontariamente comici, ma soprattutto perché si rischia di contribuire (inavvertitamente ne siamo certi) alla manipolazione della realtà.
Quante volte ci siamo sentiti dire nei primi giorni dell’invasione che i “russofoni” avrebbero se non celebrato (e molti hanno detto proprio questo) almeno rapidamente accettato l’avanzata russa? E quanti commentatori si sono lasciati tentare dalla facile insistenza sul nazionalismo destrorso che dominerebbe il governo ucraino? Erano davvero necessari migliaia di morti per scoprire che parlare russo in Ucraina non indica un’appartenenza rigida?
No, e non importava nemmeno esserci stati, in Ucraina. Bastava aver letto qualcuno che quelle terre le ha studiate sul serio, qualche articolo di Timothy Snyder, per esempio o The Gates of Europe di Serghii Plokhy. Come non erano necessari migliaia di morti per scoprire che l’evocazione del nazismo da parte di Putin altro non è che un’ingiustificata e ingiustificabile scusa per un’aggressione indiscriminata.
Chi non ne fosse ancora convinto farebbe bene a leggere la dichiarazione appena pubblicata da alcuni dei principali storici del nazismo e ampiamente disponibile in rete.
Cinema e letteratura
Strane terre, bizzarre e incomprensibili, commentavano i viaggiatori occidentali che nel ‘700 si avventuravano a est (consigliamo a questo proposito il bellissimo saggio dello storico americano Larry Wolff). Assistendo a certe conversazioni contemporanee si ha l’impressione che l’atteggiamento non sia molto cambiato.
Un utile antidoto ai disanimati scacchieri internazionali potrebbe venirci dalla letteratura e dal cinema. Quanti dei nostri esperti si sono presi la briga di mettersi sul comodino qualche romanzo o libro di poesie di autori ucraini, sistemandoli magari accanto ai classici russi che ci sono cari?
Scoprirebbero che gli ucraini sono i primi a scrivere, con dolore e ironia, di quanto complicati e contraddittori siano il loro passato e il loro presente, di quanto difficile sia far convivere molteplici sensi di appartenenza e stratificazioni di memorie. Chi fosse interessato, potrebbe iniziare con Oksana Zabuzhko, Yuri Andrukhovych, Markiyan Kamysh, Serhiy Zhadan o Lesia Ukrainka.
E prima di liquidare gli ucraini come fanatici o romantici proni al suicidio, sarebbe utile ricordare l’ironia feroce con cui un film come Donbass di Sergey Loznitsa trattava un conflitto in cui memoria, senso di sé e appartenenza si intrecciano alla banalità del quotidiano.
O la rappresentazione immaginaria dell’indomani del conflitto con la Russia fatta da Atlantis di Walentyn Wasjanowycz. Una rappresentazione che va ben oltre qualsiasi paternalistico commento dei pacificisti nostrani sui danni che potremmo causare inviando armi ai resistenti. Gli ucraini lo sanno già, molto più e molto meglio di noi.
Realtà complicata
Lo ammettiamo, è tutto molto complicato. Il gioco degli scacchi è più bello, più rassicurante, certamente più pulito. Si può giocare per ore e ore senza sporcarsi le mani. E tuttavia, ci sarà pur un motivo se Garry Kasparov, che di scacchi qualcosa capisce, ma anche di Russia, non usa mai metafore prese dal suo gioco preferito quando parla dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin.
Tanto più la realtà è complicata, tanto più è essenziale tenere naso e orecchie a terra, per annusare gli odori e cogliere i sentimenti. Come fanno, se proprio non vogliamo ascoltare gli ucraini, i bravi e coraggiosi reporter che continuano a raccontare quello che succede. Gli unici che nella babele ripetitiva dei tanti talk televisivi continuano a riportarci là, dove la realtà di questa invasione si crea ogni giorno. La pandemia ci ha costretto ad accettare che si può essere grandi filosofi ma capire pochissimo di matematica ed epidemiologia. Adesso scopriamo che si può parlare della guerra in Ucraina dicendo pochissimo del contesto in cui si svolge.
Capiamo bene che i talk televisivi hanno per missione quella di intrattenere semplificando, ma questo non è il loro solo dovere. Se lo fosse, non ci sarebbe nessuna differenza fra loro, il nostro piccolo bar di paese e l’immenso bar rappresentato dai social media. Per molte persone, la televisione rappresenta ancora il principale mezzo di informazione e la base su cui si formano le opinioni.
L’effetto che questa guerra avrà su tutti noi andrà ben oltre il prezzo del carburante. È essenziale che i cittadini di un paese democratico siano messi nella condizione di fare scelte basate su informazioni complete e analisi serie e non su fantasiosi schemi nutriti di post-verità. A quelli ci pensa già Putin.
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