- La Nato ha invitato la Cina «a smettere di amplificare le false narrazioni del Cremlino, in particolare sulla guerra e sulla Nato, e a promuovere una soluzione pacifica del conflitto».
- La rivalità strategica Cina-Stati Uniti sta allontanando sempre più la possibilità che Pechino svolga un eventuale ruolo negoziale e rischia piuttosto di farla finire sul banco degli imputati.
- La linea di Pechino è quella di una “neutralità” che non intacchi le relazioni con la Russia e della contrarietà alle sanzioni.
La Nato punta l’indice contro la Cina. «Chiediamo a tutti gli stati, inclusa la Repubblica popolare cinese – si legge nel comunicato che ieri ha chiuso il vertice di Bruxelles – di sostenere l’ordine internazionale, compresi i princìpi di sovranità e integrità territoriale e di astenersi dall’appoggiare in alcun modo lo sforzo bellico della Russia, e da qualsiasi azione che la aiuti a eludere le sanzioni».
L’Alleanza atlantica invita inoltre Pechino «a smettere di amplificare le false narrazioni del Cremlino, in particolare sulla guerra e sulla Nato, e a promuovere una soluzione pacifica del conflitto».
Mercoledì (nella notte italiana) al palazzo di vetro di New York Pechino si era schierata – per la prima volta dall’aggressione all’Ucraina – con l’invasore, che non ha mai condannato e al quale è legata da una partnership strategica «senza limiti» sottoscritta il 4 febbraio scorso dai due presidenti, Xi Jinping e Vladimir Putin.
Da una parte Russia e Cina, che hanno votato “sì”, dall’altra i restanti 13 membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, che si sono astenuti, impedendo il passaggio di una risoluzione – proposta da Mosca – che chiedeva la protezione dei civili e accesso senza impedimenti per gli aiuti umanitari in Ucraina.
Per gli Stati Uniti il testo «che non citava la Russia come unica causa della crisi», avrebbe preteso dalla comunità internazionale di farsi carico di una situazione di cui Mosca sarebbe l’unica responsabile. L’ambasciatore all’Onu, Zhang Jun, ha sostenuto che Pechino col suo «Sì» intendeva raccomandare la massima attenzione alla situazione umanitaria.
Le risoluzioni dell’Onu
La rivalità strategica Cina-Stati Uniti sta allontanando sempre più la possibilità che Pechino svolga un eventuale ruolo negoziale e rischia piuttosto di farla finire sul banco degli imputati.
La Cina ha bocciato anche l’ipotesi dell’espulsione della Russia dal G20. «Nessun membro ha il diritto di rimuovere un altro paese membro. Il G20 dovrebbe attuare un vero multilateralismo, rafforzare l’unità e la cooperazione», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin.
Mentre l’aggressione militare all’Ucraina è entrata nella quinta settimana, più l’occidente inasprisce le misure contro Mosca, più appare evidente che la linea di Pechino è un’altra, quella di una “neutralità” che non intacchi le relazioni con la Russia e della contrarietà alle sanzioni.
È una linea che pone la Cina alla guida dei paesi del sud del mondo (in 35 si sono astenuti il 2 marzo sulla risoluzione dell’Assemblea generale che ha condannato l’attacco russo, in 38 ieri su un’altra risoluzione che deplora le «terribili conseguenze umanitarie» provocate dall’invasione e chiede la fine del conflitto) che stanno subendo in maniera molto più pesante rispetto al ricco nord gli effetti dei rincari delle materie prime, accentuati dalle sanzioni.
Visita a Kabul
Mentre i leader dell’occidente erano riuniti a Bruxelles, ieri il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha compiuto una visita a sorpresa a Kabul, dove ha incontrato il suo omologo Amir Khan Muttaqi del governo dei Talebani, che Pechino non ha ancora riconosciuto ufficialmente, ma che sta contribuendo a stabilizzare, finanziariamente e diplomaticamente (nei prossimi giorni a Pechino ci sarà un summit tra i rappresentanti di tutti i paesi confinanti).
Wang, che oggi sarà in India, prima di Kabul si era fermato in Pakistan, dove ha sostenuto che la Cina e i paesi islamici sono «paesi in via di sviluppo che condividono obiettivi di sviluppo».
Dopo l’uscita di Donald Trump dalla Casa Bianca, la guerra nel cuore dell’Europa ha ulteriormente rinsaldato l’unità transatlantica. Biden ieri ne ha discusso con i leader europei i quali, nel vertice Ue-Cina di venerdì prossimo, ripeteranno a Pechino lo stesso avvertimento già arrivato dal presidente Usa: nessun sostegno finanziario (e, tantomeno, militare) a Mosca, altrimenti ci saranno conseguenze sulle nostre relazioni bilaterali.
Ma la Cina giudica il conflitto una questione tra ucraini, russi, europei e americani, e i media ufficiali continuano a dare la colpa alla Nato e agli Stati Uniti più che a Putin. E se gli europei, per ora, non possono fare a meno del gas russo, a maggior ragione è difficile che potranno rinunciare ai mercati cinesi, che nel 2021 hanno scavalcato gli Stati Uniti, diventando la prima destinazione mondiale di investimenti esteri diretti.
Per quanto riguarda le relazioni di amicizia è chiaro ormai da tempo – dal 2012, quando Barack Obama ha varato il Pivot to Asia, e dal 2019, quando la Commissione Ue ha definito la Cina un «rivale sistemico» – che la Cina guarda sempre meno a occidente e sempre di più al sud del mondo.
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