Il prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari, autore delle ispezioni a Riace, nel 2016 scrive alla procura per esternare le sue preoccupazioni per l’ordine pubblico e per l’atteggiamento dei giornalisti. Poi è promosso dal governo Conte 1 e da Salvini, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale
- Il "modello” Riace, diverso e per molti aspetti contrapposto a quello dei governi a cavallo tra il 2016 e il 2017, che puntavano sui grandi centri di accoglienza.
- Leggendo le carte e i fascicoli dell’inchiesta, si capisce che a Riace l’obiettivo è portare alla luce la rete dei rapporti di Mimmo Lucano.
- Nei fascicoli enormi dellinchiesta Xenia tutto è trascritto, anche quello che è inutile e non serve a dare corpo e concretezza all’inchiesta, meno che mai al processo.
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LaPresse
Trentatré giornalisti, tre magistrati, un avvocato, un viceprefetto, la portavoce della presidente della Camera. Tutti intercettati. Le loro telefonate registrate e trascritte insieme ai loro numeri di cellulare. Il tutto definito per categorie, «molto importante, importante, normale». Non sappiamo in quale casella sia stata inserita l’intercettazione tra un uomo e una donna (non diciamo chi sono per tutelare, almeno noi, la loro privacy), che, prima di parlare, «si scambiano effusioni amorose», e poi si salutano, «ciao amore, ciao amore».
Centinaia di ore di chiacchierate captate nell’inchiesta “Xenia”, quella sul “modello Riace”, che ha portato all’arresto, e poi all’esilio, Domenico Lucano. Fascicoli enormi dove tutto è trascritto, anche quello che è inutile e non serve a dare corpo e concretezza all’inchiesta, meno che mai al processo.
E’ una riedizione in salsa calabra del “metodo Trapani” (butta la rete, qualcosa verrà fuori). Con due differenze sostanziali. I soggetti intercettati nell’inchiesta Lucano lo sono perché in quel momento entrano in contatto e parlano con un indagato.
La seconda differenza risiede negli obiettivi diversi che le due indagini giudiziarie si pongono. In Sicilia si indaga sulle navi umanitarie e su eventuali (e finora mai accertati) contatti Ong scafisti libici, a Locri e dintorni si indaga sulla punta di diamante del sistema di accoglienza.
Smontare il modello Riace
Il "modello” Riace, diverso e per molti aspetti contrapposto a quello dei governi a cavallo tra il 2016 e il 2017, che puntavano sui grandi centri di accoglienza. Leggendo le carte e i fascicoli dell’inchiesta, si capisce che a Riace l’obiettivo è portare alla luce la rete dei rapporti di Mimmo Lucano.
Una rete vastissima, fatta di preti (Monsignor Bregantini, padre Alex Zanotelli, il gesuita Giovanni Ladiana), attori (Beppe Fiorello, Peppino Mazzotta e altri), registi del calibro di Wim Wenders (che a Riace ha girato Il Volo), e poi giornalisti, cantanti come Vinicio Capossela, Fondazioni (in Francia, Germania, Usa) che gli assegnano premi, sindaci di città europee come Ada Colau, sindaca di Barcellona. Un mondo che esprime amicizia e solidarietà al sindaco di quel piccolo comune del cuore della Calabria, che tra vicoli e case abbandonate vuole costruire la sua “utopia della normalità”.
In quei mesi che vanno dal 2016 al 2017, Mimmo Lucano è preoccupato. A Riace sono arrivati gli ispettori dello Sprar, il sistema di protezione dei rifugiati e richiedenti asilo. Siamo nel luglio 2016, al governo c’è Matteo Renzi e al Viminale siede Angelino Alfano, l’ispezione si conclude rilevando «un quadro estremamente confuso» nella gestione. Siamo ancora alla censura di piccole violazioni burocratiche, e alla interpretazione contrastante di norme e regolamenti sull’accoglienza.
Quando arriva Minniti
Le bordate vere al “sistema” arriveranno col governo Gentiloni, quando al ministero dell’Interno c’è Marco Minniti. Iniziano le ispezioni della Prefettura di Reggio Calabria, che con Lucano e le sue utopie ha un pessimo rapporto.
E’ il dicembre 2016, quando il viceprefetto Gullì firma la sua ispezione nella quale, accanto agli apprezzamenti per le cose positive viste a Riace, rileva una serie di “situazioni fortemente critiche”.
E’ l’inizio di una processione di viceprefetti-ispettori, che analizzeranno ogni dettaglio del modello Riace. Lucano è amareggiato, deluso. Ne parla con i suoi amici. Anche con Andrea Daqua, uno dei suoi avvocati, il 29 agosto 2017. Gli racconta di un suo viaggio in Etiopia, poi si lascia andare ad alcuni giudizi sul ministro dell’Interno Minniti. «Dall’alto – dice Lucano – c’è la volontà di farmi chiudere».
Sono almeno due le volte che Lucano viene intercettato mentre parla col suo avvocato, anche quando (il 13 ottobre 2017), gli chiede consigli su come muoversi e quale profilo mantenere in una intervista che si appresta a rilasciare.
Chiede consigli, Mimmo, anche ai suoi amici magistrati. Con la dottoressa Olga Tarzia (presidente di collegio in importanti processi di mafia e di politica), il rapporto è di condivisione di una idea, come si comprende da un sms inviatogli dalla giudice il 16 dicembre 2017 («affetto e stima»). Nella trascrizione, questo messaggio viene classificato come «Normale».
«Importante» invece, è giudicata la visita che il 29 luglio di quello stesso anno, l’ex sindaco di Riace fa a casa della giudice, che viene così riassunta: «Lucano è solo, si ferma a casa della dottoressa Tarzia per spiegare le difficoltà che ha avuto per via delle visite ispettive, e quindi di interagire in merito».
Con Roberto Lucisano, presidente della Corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria (intercettato 7 volte), Lucano ha un rapporto più stretto. Lo chiama per sfogarsi, per chiedere consigli. In una intercettazione del 28 agosto 2017, classificata come «Molto importante», gli parla delle ispezioni, ricevendone in cambio la domanda di come faranno ad andare avanti a Riace senza finanziamenti.
Poi Lucisano giudica il comportamento del ministro Minniti: «Vuole mettere in difficoltà il sistema Riace costringendo Lucano a chiudere tutto». Il giudice è molto vicino al sindaco, gli manda sms (“Il mio affetto e la mia solidarietà a chi ha l’unico torto di credere che il sogno di un mondo migliore sia possibile”), frena alcuni ardori polemici di Mimmo («devi trovare la forze nel consenso che c’è intorno a te»).
Dov’è il reato?
Come si vede, si tratta di conversazioni normali, non c’è mai una parola che vada oltre i limiti fissati dalla legge e dalla deontologia professionale, eppure queste telefonate sono state intercettate, trascritte, inserite nell’intero fascicolo.
A un altro magistrato, Emilio Sirianni, va peggio. Sirianni è un giudice civile che opera a Catanzaro, scrive spesso per il manifesto e per le riviste dell’area progressista della magistratura.
E’ amico di Lucano, e anche lui offre consigli prettamente giuridici. La procura di Locri lo indaga per favoreggiamento, il procuratore Luigi Dalessio lo ritiene “consiliori permanente” di Lucano, alla fine la sua posizione viene archiviata perché «in alcun modo Sirianni ha indicato o suggerito modalità che potessero ritenersi estranee alla versione difensiva o atte a inquinare lo scenario probatorio». Ma nella richiesta vengono ripetuti stralci di intercettazioni nelle quali Sirianni si lascia andare a giudizi su alcuni suoi colleghi, Nicola Gratteri in primis. Tanto basta al Giornale per titolare sulla “toga rossa che avvertiva Lucano”. Il giudice verrà assolto anche dalla sezione disciplinare del Csm
Mezza stampa italiana
Giornali e giornalisti. Trentatré intercettati. Ci sono tutte le testate, Manifesto, Repubblica, Il Venerdì, Il Fatto Quotidiano, Rai, La 7 , Mediaset, Tv Svizzera, Ansa, Quotidiano del Sud, Gazzetta del Sud, Corriere della Calabria. Lucio Musolino (Fatto Quotidiano), conquista il record di 26 intercettazioni, Valentina Loiero (Mediaset) all’epoca portavoce della presidente della Camera Laura Boldrini, viene registrata mentre «rassicura Lucano».
Il quale Lucano parla molto con i cronisti, si racconta e racconta i guai suoi e della sua famiglia. Figli (totalmente estranei all’inchiesta) compresi.
Ogni confidenza, inutile ai fini delle indagini, finisce nei brogliacci a disposizione di inquirenti, una trentina di avvocati della difesa, e di una decina quelli di parte civile. Disagi e malattie comprese.
Gli strani timori del prefetto
Perché una tale massa di intercettazioni? Per ricostruire la “rete” (qualcuno dice la lobby) che sosteneva e sostiene Lucano. Il prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari (promosso dal governo Conte 1 e da Salvini, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale), nutriva invece preoccupazioni per l’ordine pubblico e per l’atteggiamento dei giornalisti.
In una lettera del 14 maggio 2016 indirizzata alla Procura della Repubblica di Locri a commento delle ispezioni da lui stesso ordinate, scrive che «i tentativi di mutare lo scenario, peraltro, a primo acchito ammantato da un idilliaco alone, potrebbero scontrarsi con plateali manifestazioni di protesta, suscettibili di probabile enfatizzazione da parte dei mezzi di comunicazione cui potrebbe sfuggire l’anomalia…». A Riace, paese “anomalo” e pacifico, non ci sono mai state manifestazioni violente.
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