Amnesty International Italia segue con grande preoccupazione l’esame del progetto di legge n.1660 in materia di pubblica sicurezza.
Il dibattito, infatti, prosegue con il rischio di modifiche peggiorative a un testo già critico dal punto di vista del suo impatto sui diritti umani. Diversi emendamenti presentati da esponenti della maggioranza, se approvati, restringerebbero ulteriormente gli spazi di protesta pacifica e criminalizzerebbero coloro che protestano.
Ne sono un esempio il tentativo di ampliare le maglie in sede interpretativa del Daspo urbano o quello di configurare il reato di violenza privata nel caso in cui una o più persone impediscano, anche solo con la resistenza passiva o frapponendo semplicemente il proprio corpo, l’entrata o l’uscita da uno spazio aziendale a chi intenda passare. Non costituirebbe esimente o scriminante neanche il fatto che il comportamento fosse tenuto per sostenere un’azione di sciopero.
Un altro emendamento, a firma della Lega, aumenterebbe la pena nell’ambito del reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e di resistenza a un pubblico ufficiale per chi cerca di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura ritenuta strategica.
Altrettanto grave è la proposta, sempre presentata da esponenti di maggioranza, di riformulare l’articolo 53 del codice penale in materia di “Uso legittimo delle armi”, per non rendere punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere a un dovere del proprio ufficio, fa uso oppure ordina di fare uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto.
Anche l’Europa è preoccupata
Secondo l’Odihr, l’Ufficio dell’Osce per le istituzioni democratiche e i diritti umani, alcuni dei nuovi reati proposti hanno una formulazione ampia e vaga senza che siano specificati gli elementi costitutivi delle fattispecie penali, lasciando quindi spazio a potenziali interpretazioni e applicazioni arbitrarie.
Inoltre, diverse disposizioni rischiano di creare un effetto deterrente sull’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle persone, ad esempio gli atti di disobbedienza civile come forma di protesta pacifica, in quanto non rispetterebbero adeguatamente il principio di proporzionalità delle sanzioni penali, in particolare nei possibili casi di blocco del traffico, di violenza contro i pubblici ufficiali o di occupazione di immobili.
È ritenuto particolarmente preoccupante anche il trattamento della resistenza passiva dei detenuti previsto dal disegno di legge, che potrebbe essere considerato sproporzionato, soprattutto se utilizzato come mezzo per punire forme pacifiche di protesta da parte della popolazione carceraria.
L’Odihr invita, tra le altre cose, a circoscrivere più chiaramente e in modo meno vago gli elementi che costituiscono reato nell’ambito dell’articolo 1 del disegno di legge in materia di antiterrorismo, a riconsiderare l’inasprimento delle sanzioni e la criminalizzazione di comportamenti di natura pacifica che causano disturbi o ostruzioni al traffico stradale, assicurando che in questi casi non sia prevista la pena della reclusione; inoltre, a riconsiderare interamente l’articolo 10, che estenderebbe la misura del Daspo urbano, o almeno limitare in maniera sostanziale la portata temporale dei poteri del questore previsti, prevedendo eccezioni alla restrizione dell’accesso ad alcune aree specifiche, almeno per garantire l’accesso ai servizi essenziali.
Infine, altrettanto critica resta la questione della revoca della cittadinanza a seguito della condanna per reati con finalità di terrorismo.
La proposta di modifica alla legge sulla cittadinanza del progetto di legge, infatti, non vieterebbe la revoca della cittadinanza in tutti i casi in cui la misura potrebbe comportare l’apolidia e consentirebbe la revoca nel caso in cui la persona sarebbe idonea ad acquisire un’altra cittadinanza in teoria, ma non abbia ottenuto una seconda cittadinanza di fatto.
A tale proposito, l’Odihr fa notare che la revoca della cittadinanza come misura antiterrorismo è stata a lungo criticata sia per il serio impatto sui diritti umani sia per gli interrogativi sulla sua efficacia nel prevenire i rischi del terrorismo. La revoca della cittadinanza, inoltre, non solleverebbe gli stati da altri obblighi in materia di diritti umani nei confronti delle persone colpite, ad esempio in relazione al divieto di respingimento.
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