Il modo volgare e arrogante con cui Donald Trump ha fatto osservare che molti Stati si affannano per venire a patti con lui ci ricorda come gli scambi internazionali, anche quando svolti in un regime di cooperazione amichevole, celino delle potenziali asimmetrie di potere.

Asimmetria di potere

Le istituzioni internazionali emerse dopo la Seconda guerra mondiale ci avevano dato la sensazione che queste asimmetrie fossero irrilevanti, ma le parole di Trump ci riportano a quelle modalità di rapporti fra gli stati. Come ha notato anche Gillian Tett sul Financial Times, per comprendere quello che sta succedendo possiamo avvalerci delle analisi contenute nel libro National Power and the Structure of Foreign Trade di Alfred Hirschman pubblicato nel 1945 e scritto durante gli anni del conflitto mondiale.

Hirschman osservava come, se era vero che gli scambi internazionali aumentassero la ricchezza delle nazioni, questi aumenti di ricchezza costituivano frazioni ben diverse della ricchezza per paesi di diverse dimensioni. Si trattava di piccole frazioni per paesi di grandi dimensioni e di frazioni di notevole entità per paesi di piccole dimensioni.

L’asimmetria si traduceva in rapporti di forza che potevano permettere ai paesi di grande dimensioni di imporre condizioni sfavorevoli ai paesi piccoli. Secondo Hirschman, nel periodo prebellico la Germania aveva tenuto ben presente queste asimmetrie e aveva spostato il suo commercio internazionale verso i paesi di minore dimensione che potevano essere più facilmente condizionati sia nelle loro scelte economiche sia nelle loro decisioni politiche.

Il pericolo delle trattative

Anche se per poco tempo, le borse hanno festeggiato le trattative che Trump vuole avviare dopo aver imposto dei dazi esorbitanti. Eppure sono proprio queste trattative fatte individualmente con ogni singolo stato che costituiscono l’aspetto più preoccupante di quanto sta accadendo. L’imposizione di dazi non è certamente una novità e non è nemmeno sempre negativa.

Con i dazi vengono a svanire i guadagni dovuti allo scambio internazionale, ma con essi ci si può utilmente difendere dalla concorrenza di paesi con carenti standard ambientali e privi delle necessarie tutele dei diritti dei lavoratori. È probabile che resti ancora nella memoria storica di alcuni cittadini americani il ruolo che i dazi ebbero nella Guerra di secessione quando gli stati schiavisti del Sud erano a essi contrari mentre gli stati del Nord li volevano per favorire l’industrializzazione del paese.

I dazi imposti da Trump vanno combattuti perché essi sfruttano in modo indecente, non solo verbale, le asimmetrie degli scambi internazionali già analizzate da Hirschman. Le trattative bilaterali che il ricatto dei dazi si propone di favorire ci riportano bruscamente al mondo precedente alla Seconda guerra mondiale dove le asimmetrie insite negli scambi internazionali furono un importante strumento di pressione di uno stato sull’altro.

Per fortuna i paesi dell’Unione europea non si trovano ad affrontare delle trattative bilaterali in cui sarebbero certamente molto deboli. In questa situazione, anche se è opportuno evitare una spirale di dazi e di contro-dazi, essi devono respingere delle trattative umilianti e soprattutto evitare di dividersi. La Ue dovrebbe ribadire con fermezza le ragioni del multilateralismo e delle istituzioni internazionali.

Se gli Usa vogliono boicottarle (come hanno già fatto da tempo con i meccanismi di risoluzione delle dispute al Wto), la Ue deve invece cercare di rivitalizzarle insieme a tutti i paesi che vogliono evitare un triste ritorno ai conflitti legati al commercio internazionale. Se è tanto triste quanto comprensibile che gli Stati più deboli accettino le umilianti trattative imposte da Trump, l’Unione europea non può fare altrettanto.

È nel suo dna essere una unione di paesi che, se spesso litigano, hanno tuttavia delle regole condivise per risolvere i loro conflitti di interesse. Questa civile modalità di rapporti fra gli Stati va difesa anche al di fuori della Ue.

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