Il decreto-legge che aggiorna l’elenco dei Paesi di origine sicuri può essere letto attraverso la spiegazione che ne hanno dato in conferenza stampa il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, quello dell’Interno, Matteo Piantedosi, e il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, nella serata del 21 ottobre. E siccome in tale conferenza stampa sono state dette diverse imprecisioni, è il caso di fornire qualche chiarimento.

La sicurezza “generale e uniforme”

Carlo Nordio è partito dalla considerazione che i giudici di Roma non abbiano compreso la sentenza con cui, il 4 ottobre scorso, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha fornito un’interpretazione vincolante della definizione di paesi sicuri contenuta nella cosiddetta direttiva Procedure (32/2013). Secondo il ministro, i giudici europei si sono limitati ad affermare che la “sicurezza” dev’essere presente su tutto il territorio, motivo per cui il nuovo decreto-legge del governo ha eliminato dalla lista dei paesi sicuri tre stati che presentavano zone di pericolo. Nordio sostiene che la Corte Ue – a differenza di quanto hanno capito i giudici di Roma - non avrebbe detto che tale sicurezza deve riguardare ogni categoria di persone, salvo un esame specifico caso per caso.

Sorge il dubbio che a non aver compreso bene la sentenza forse sia proprio il ministro. Non è vero, infatti, che i giudici Ue si siano limitati a valutare la sicurezza di un paese solo nella sua dimensione territoriale. La Corte, infatti, andando oltre il caso di specie (Moldavia/Transnistria), ha fornito una lettura complessiva della normativa europea: l’espressione «in modo generale e uniforme», contenuta nella direttiva con riferimento a «un Paese», e non solo a sue parti, richiede che la sicurezza sussista per ogni categoria di persone e su tutta la superficie del paese stesso.

Nordio lamenta pure che il tribunale di Roma non abbia fatto una valutazione specifica e circostanziata della situazione dei migranti. Valutazione che, a detta del ministro, sarebbe richiesta dalla Corte Ue nei punti 84 e seguenti della sentenza. Ma quei punti riguardano i giudici che esaminano il ricorso contro il diniego di asilo, non quelli che decidono sulla convalida del trattenimento del migrante. Peraltro, questi ultimi devono pronunciarsi entro quarantott’ore, e un esame accurato della situazione individuale del migrante sarebbe impossibile da fare in due giorni.

La sentenza come norma

Durante la conferenza stampa, Alfredo Mantovano ha detto che la sentenza della Corte Ue non è una norma, ma l’interpretazione di una norma. Vero, ma è un’interpretazione cogente al pari di una norma. La Corte europea, investita di una questione pregiudiziale, fornisce l’interpretazione autentica della disposizione sottoposta al suo giudizio, e tale interpretazione è vincolante per tutti i giudici di ogni stato membro dell’Ue. Di conseguenza, le statuizioni della Corte di giustizia hanno valore pari a quello delle norme dell’Unione cui si riferiscono, con buona pace di Mantovano.

La pseudo blindatura dei paesi sicuri

Nordio ha detto che il nuovo decreto-legge non potrebbe essere disapplicato dai tribunali, essendo una fonte primaria, e non più secondaria, come il precedente decreto interministeriale: il giudice, «se lo ritiene incostituzionale, può fare ricorso alla Consulta». Insomma, il decreto-legge avrebbe blindato la lista dei paesi sicuri. Anche questa affermazione non è corretta. I tribunali, infatti, potranno disapplicare il nuovo decreto-legge esattamente come hanno disapplicato il decreto interministeriale, in quanto contrastante con la normativa europea interpretata dalla Corte Ue. Il principio della prevalenza del diritto dell’Unione rispetto a quello nazionale vale rispetto a qualunque fonte.

I giudici potranno eventualmente ricorrere alla Corte costituzionale, ma non sono obbligati a farlo, a differenza di quanto dice Nordio. Peraltro, anche ove la Consulta fosse chiamata a pronunciarsi, difficilmente contraddirebbe la sentenza della Corte Ue. E così pure la Corte di Cassazione, alla quale qualche mese fa i giudici di Roma hanno presentato un ricorso pregiudiziale interpretativo circa la vincolatività della lista dei paesi sicuri allegata al decreto interministeriale. È verosimile che la Cassazione, la cui decisione è attesa per il 4 dicembre, non si discosterà dalla pronuncia dei giudici europei, che è vincolante, e anzi potrebbe richiamarla come decisiva della questione.

Insomma, il decreto-legge che avrebbe dovuto risolvere da ogni problema in realtà non risolve niente. E la farsa, normativa e non, riguardante l’Albania va avanti.

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