- La pandemia non ha travolto l’Africa ma le sue conseguenze rischiano di metterla in crisi
- Tre le crisi incipienti: debito, inflazione e crisi alimentare
- La dipendenza produttiva fa emergere la grande fragilità del continente
Nonostante la sua virulenza su scala globale, la pandemia di Covid-19 non ha travolto l'Africa con una catastrofe sanitaria com’è avvenuto in altri casi, ad esempio con l’ebola o l’aids. Anche in Africa è necessario vaccinarsi per evitare l’arrivo o il proliferarsi delle varianti ma fino ad ora non c’è stata la temuta ecatombe.
Sta avvenendo tuttavia un altro tipo di calamità: dopo venticinque anni di crescita continua il continente sta subendo una “pandemia ombra”. A colpire sono le conseguenze socio-economiche della diffusione del virus: il Pil continentale è diminuito (talvolta crollato) in tutti i paesi -salvo eccezioni- e interi settori sono andati in crisi, primo fra tutti turismo (10 per cento delle entrate). A causa della recessione mondiale sono cadute anche le esportazioni di materie prime, sia minerarie che agricole.
La rottura o l’accorciarsi delle supply chains ha fatto il resto. Anche i rami della nuova via della seta cinese (com’è noto Pechino ha molto investito in Africa in questi ultimi vent’anni), con i tentativi di restaurare linee ferroviarie o creare quelle marittime, sono andati in crisi.
Ritorna il Fondo monetario internazionale
L’indebitamento di molti paesi africani sta rendendo insostenibile la tenuta dei bilanci pubblici provocando il moltiplicarsi degli allarmi del Fondo monetario internazionale che negli ultimi anni si era fatto particolarmente silenzioso a riguardo del continente nero.
Alcuni stati, come lo Zambia, hanno già dovuto dichiarare default tecnico nel corso del 2021, ancor prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, venuto ad aggravare una situazione già in bilico e causando l’ormai nota penuria alimentare con le restrizioni del commercio mondiale del grano e dei fertilizzanti. Uno degli effetti della crisi multidimensionale che sta colpendo l’Africa è la fuga dei capitali internazionali (in specie arabi e asiatici) che avevano iniziato ad apprezzare i rendimenti africani comprando i bond emessi da alcuni governi nazionali, come ad esempio il Ghana.
Secondo le accurate analisi del fondatore di Grassfields Ventures, Serge Eric Menye, il quadro generale è cupo e si prevedono carestie. In particolare nei paesi più fragili, come Mali, Burkina Faso, Ciad, Tunisia, Egitto o Algeria, la carenza di prodotti alimentari importati sta provocando un aumento dei prezzi che riduce un potere d'acquisto già molto basso e potrebbe innescare violenze.
A ciò si aggiunge la chiusura delle scuole che ha spinto milioni di studenti ad abbandonare gli studi in modo permanente. La parte silenziosa dell’attuale crisi africana riguarda l’impennata dei prezzi dell'energia, in particolare del gas, di cui soltanto alcuni paesi (come il Mozambico) potranno giovarsi.
Nonostante il continente abbia le più grandi riserve di terra coltivabile non sfruttata del pianeta (200 milioni di ettari, escluse le foreste), la sua produzione agricola rimane insufficiente. L’Africa potrebbe produrre da sé molti più prodotti agricoli e soprattutto tutta la quantità necessaria di fertilizzanti che occorrono per l’allevamento, invece che affidarsi alle importazioni.
Secondo Menye l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti al fosforo di quasi il 95 per cento, dell’urea del 78 per cento e di quelli al potassio del 138 per cento sta facendo esplodere i costi tanto da mandare in rovina certa agricoltori e allevatori. Molte voci si stanno levando in favore di un piano continentale di resilienza agricola ma l’Unione africana è lenta a reagire. Se le prossime stagioni agrarie saranno compromesse, i rischi per la sicurezza alimentare del continente raddoppieranno.
L’Africa è piena di contraddizioni a riguardo delle materie prime che produce: la Nigeria ad esempio è il più grande produttore di petrolio e gas continentale ma è priva di infrastrutture di raffinazione e quindi deve importare quasi il 90 per cento del carburante raffinato. In diversi paesi ci si sta affidando al razionamento. Lo stesso si può dire per ciò che concerne la produzione di prodotti alimentari: in Africa non si trasforma quasi nulla: si esportano materie prime e si importano dopo che sono state lavorate, con un aggravio di prezzi evidente.
Tutti gli indicatori sono in rosso: secondo gli esperti incombe lo spettro di una tripla crisi: debito, inflazione e penuria alimentare che potrebbero provocare gravi disordini sociali in regioni già destabilizzate da tensioni politiche. In un contesto economico che si deglobalizza, la dipendenza produttiva diviene un’estrema vulnerabilità, svelando le carenze strutturali del continente.
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