- Se la destra novecentesca aveva la classe come suo obiettivo polemico, quella del ventunesimo secolo ha l’intersezionalità. Ma i diritti civili sono diritti della persona, cioè di tutti/e noi. Sarebbe un errore clamoroso cadere nella trappola identitaria.
- Vi è un aspetto interessante nell’intersezionalismo: la possibilità di attivare una congruenza politica tra le varie forme di subordinazione o di emarginazione, riconoscibili in tutti i paesi occidentali. Da quelle economiche a quelle sessuali.
- Tenere insieme queste denunce e queste esigenze, dall’ambientalismo all’antidiscriminazione e alla giustizia sociale primaria, è oggi l’obiettivo politico della sinistra.
Se la destra novecentesca aveva la classe come suo obiettivo polemico, quella del ventunesimo secolo ha l’intersezionalità. Questa parola difficile da pronunciare viene definita dal dizionario Oxford così: «La natura interconnessa di categorizzazioni sociali (la razza, la classe e il genere) considerata come la creazione di sistemi sovrapposti e interdipendenti di discriminazione o svantaggio».
La reazione della destra contro l’intersezionalismo è giustificata nel nome della difesa della tradizione: la religione maggioritaria e la nazione (contro la razza e la classe) e la famiglia eterosessuale (contro il genere). La parola che la destra usa per identificare l’intersezionalità è la gender philosophy, un termine scorporato dal femminismo e identificato con tutto ciò che deturpa la tradizione.
Vi è un aspetto interessante nell’intersezionalismo: la possibilità di attivare una congruenza politica tra le varie forme di subordinazione o di emarginazione che uniscono fasce di popolazione globale, riconoscibili in tutti i paesi occidentali.
Le connessioni
La condizione di degrado ambientale e di periferizzazione si connette spesso alla condizione economica di precarietà e di instabilità lavorativa, di povertà culturale e famigliare, e infine di emarginazione a causa di scelte di vita sessuali non ortodosse. La strategia della destra per debilitare queste forme di scontento è quella di depoliticizzarle, di renderle cioè questioni identitarie. La lotta contro la gender ideology vuole fare proprio questo: fare in modo che le richieste di eguali diritti siano rubricate come richieste di diritti delle “minoranze sessuali”. Diritti identitari. Ma sappiamo che i diritti civili sono diritti della persona, cioè di tutti/e noi; non definiscono gruppi o identità, sono di tutti coloro che vogliono usarli. Sarebbe un errore clamoroso cadere nella trappola identitaria.
Le lotte in atto in tutte le società democratiche mostrano che le distinzioni tra le varie forme di discriminazione possono trovare un terreno comune. Le alleanze sociali nelle piazze di Parigi o in quelle di Firenze sono un invito a che i movimenti trovino nella politica una sponda, non una chiusura.
La sinistra
L’obiettivo della sinistra è di annodare queste diverse discriminazioni intersezionali. Ed è proprio questa eventualità che preoccupa la destra. Lo si è visto molto bene in Italia con l’attacco alla manifestazione di Milano per il diritto di genitorialità dei bambini di famiglie non eterosessuali. Lo si è visto con l’oltraggioso assalto linguistico e rappresentativo a Elly Schlein.
Tenere insieme queste denunce e queste esigenze, dall’ambientalismo all’antidiscriminazione e alla giustizia sociale primaria, è oggi l’obiettivo politico della sinistra. Non facile, ma necessario. E che sia questa la strada giusta è dimostrato proprio dalle reazioni a tratti scomposte della destra verso tutto quel che non è “tradizionale”.
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