Nella legge di bilancio si prevedono detrazioni per i giovani che vanno a vivere da soli: ma sono soldi che arrivano troppo tardi e che non arrivano a chi ne ha veramente bisogno. Sarebbe più efficace istituire un fondo ad hoc
Nella bozza di legge di bilancio si prevede il potenziamento di una detrazione fiscale per sostenere i giovani tra i 20 e 30 anni che sono in affitto. La detrazione spetta per i primi 4 anni di locazione in una abitazione diversa da quella dei propri genitori, e sarebbe pari al 20 per cento dell’affitto, con un tetto annuo di 2.400 euro. Questo intervento sembra coerente con l’obiettivo del governo di prendersi cura della dimensione abitativa dei giovani italiani.
Peccato che la misura, scritta così, sia perfettamente inutile. Il problema sta nello strumento scelto per raggiungere l’obiettivo, di per sé meritorio: una detrazione fiscale. Tralasciando l’ironia dell’aggiungere l’ennesima detrazione fiscale mentre nel frattempo si lavora ad una riforma del fisco che ha tra i suoi obiettivi anche la semplificazione, una detrazione fiscale in questo caso ha due limiti.
In primo luogo, è una misura molto selettiva, che non raggiunge in modo efficace chi ha effettivamente bisogno. Una detrazione fiscale, infatti, non aiuta chi è senza lavoro e quindi senza un reddito da cui scalare la detrazione: non aiuta quindi quei giovani che magari voglio emanciparsi dall’abitazione dei propri genitori proprio per cercare lavoro. Ma anche tra chi un lavoro ce l’ha, una detrazione fiscale può aiutare solo coloro che hanno redditi soggetti all’Irpef e che, comunque, non siano incapienti: affinché la detrazione possa essere fruita è necessario che si disponga di abbastanza risorse economiche da avere un’imposta lorda abbattibile con la detrazione. Insomma: una detrazione rischia di arrivare a chi non ne ha bisogno, lasciando invece fuori chi davvero avrebbe senso sostenere.
Le risorse arrivano tardi
Il secondo problema della detrazione è che si tratta di una misura “a scoppio ritardato”: i soldi arrivano troppo tardi. Se un giovane sceglie di andare a vivere in affitto a gennaio 2022, riceverà eventualmente la detrazione nell’autunno del 2023. Davvero molto tempo dopo la spesa sostenuta per l’affitto.
Difficile quindi che con una simile attesa la detrazione possa effettivamente influenzare la scelta del giovane di andare a vivere in affitto. Soprattutto perché coloro che davvero andrebbero aiutati sono quei giovani che non hanno la liquidità per andare a vivere in affitto: coloro che non hanno i soldi oggi per pagare l’affitto e che non se ne fanno nulla di una detrazione che arriverà dopo oltre un anno. Dunque, per quanto le intenzioni del governo siano buone, non bastano. La norma andrebbe cambiata nella sua natura, anche senza alternarne il costo complessivo, per sostenere i giovani in affitto.
La soluzione
Per introdurre una misura efficace, è necessario uno strumento che abbia due caratteristiche. Primo, non deve essere uno strumento sul fronte del prelievo ma su quello della spesa: non una detrazione, quindi, ma un assegno erogato. Secondo, deve assicurare liquidità da subito a chi si muove in affitto, senza aspettare mesi prima di poter godere del beneficio.
Suggeriamo la costituzione di un Fondo nazionale per l’autonomia abitativa degli under30 in una prima fase sperimentale, con un adeguato programma di monitoraggio e valutazione dei risultati. Le risorse di questo fondo potrebbero essere distribuite alle regioni e province autonome e da loro o dai comuni erogate ai cittadini, in linea con quanto già accade per il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione. In questo modo alle risorse garantite dallo stato potrebbero andare a sommarsi eventuali aggiunte delle amministrazioni locali.
La creazione di un fondo specifico permetterebbe inoltre di stabilire requisiti minimi omogenei su tutto il territorio nazionale, lasciando una opportuna dose di flessibilità territoriale. Un’alternativa più “centralizzata” potrebbe essere un trasferimento diretto da parte dello stato centrale: dopo l’esperienza del cashback, con cui in maniera piuttosto rapida milioni di euro sono stati versati direttamente sui conti correnti di molti cittadini, ci chiediamo se non sia possibile mettere in atto un trasferimento simile a favore dei giovani in affitto, con il versamento effettuato non appena sia stato caricato su app (e verificato) un regolare contratto di locazione.
Una proposta di sussidio di questo tipo non è esente da criticità. Il rischio principale è che, nel tempo, il sussidio si trasformi in un trasferimento dallo stato ai possessori di immobili tramite un aggiustamento al rialzo dei prezzi. Questo rischio, segnalato anche nella letteratura economica, è più elevato nelle città in crescita demografica e dove le politiche pubbliche a favore dell’edilizia abitativa non riescono a sopperire in modo soddisfacente alla domanda di alloggi.
A nostro modo di vedere, tuttavia, questa proposta conserva un grande merito: beneficerebbe giovani studenti e lavoratori in condizioni economiche di svantaggio, fornendo loro un’alternativa di emancipazione dal contesto familiare tramite l’accesso a un mercato dal quale sarebbero altrimenti esclusi. E tramite un opportuno design della policy il rischio di aumento dei prezzi potrebbe essere mitigato.
Per un paese in crisi demografica e con basse percentuali di iscrizione all’università, infine, una maggiore emancipazione economica per i giovani è un passaggio obbligato: altrimenti, come da film, non ci resta che piangere.
Hanno collaborato all’articolo:
Francesco Armillei – Ternano, 1996. Assistente di ricerca presso la London School of Economics e senior fellow del think tank Tortuga, tramite il quale pubblica questo contributo.
Elia Bidut - Gradese, 1997. Dopo gli studi in management tra Trento, Milano, Madrid e Maastricht ora è un consulente in materia di innovation management. È senior fellow del think tank Tortuga, tramite il quale pubblica questo contributo.
Matteo Sartori - Trentino, classe 1993, si è laureato in Economia e Scienze Sociali alla Bocconi. È attualmente dottorando al CEMFI di Madrid, dove si occupa di mercato del lavoro ed economia geografica o regionale. È senior fellow del think tank Tortuga, tramite il quale pubblica questo contributo.
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