- L’assemblea nazionale del Pd, benché sia un organo di dimensioni ipertrofiche, composto da ben più di mille membri, per una volta, ha riempito di senso la sua convocazione e, rispetto al passato, si possono cogliere alcune novità positive.
- Sofferta e nobile la relazione del segretario uscente. Profili e parole diverse dai quattro candidati segretari, Bonaccini, Schlein, De Micheli e Cuperto, ma tutt’altro che incompatibili.
- Nonostante gli sbeffeggiamenti che il Pd riceve quotidianamente anche da supposti amici e, ancor più, da supposti osservatori indipendenti, si rivela l’unica forza politica dove si discute, si mettono sul tappeto idee e proposte e, alla fine, si decide dal basso.
L’assemblea nazionale del Pd, benché sia un organo di dimensioni ipertrofiche, composto da ben più di mille membri, per una volta, ha riempito di senso la sua convocazione e, rispetto al passato, si possono cogliere alcune novità positive. La prima riguarda la qualità della relazione del segretario dimissionario, sofferta quanto nobile, e degli interventi dei candidati: articolato e pugnace Elly Schlein, solido e militante Paola De Micheli, pragmatico con un mix di efficientismo e solidarismo emiliano-romagnolo Stefano Bonaccini, evocativo ed orgoglioso della storia della sinistra Gianni Cuperlo.
Profili e accenti diversi ma tutt’altro che incompatibili. E questa è la seconda nota positiva per il Pd. Nulla ricorda lo scontro all’arma bianca tra i renziani e i rottamandi del passato. Non siamo alla vigilia di una faida come quella che prima divise – e ancora oggi divide - i veltroniani dai dalemiani , e poi i renziani dai suoi avversari. Quando irruppe il sindaco di Firenze era in gioco una rivoluzione copernicana nel partito, che tanti illuse e affascinò, salvo poi sgretolarsi di fronte alla sicumera e all’improntitudine del giglio magico.
Ora si tratta di quale curvatura dare ad un partito della sinistra europea , famiglia alla quale il Pd appartiene (e se ne facciano una ragione i nostalgici di una terza via da tempo finita in un vicolo cieco). I democratici potranno inclinarsi verso una opzione green e alternativa, molto radicale sui diritti di ogni tipo, da quelli postmoderni della sfera sessuale a quelli old style , benché ancora pressanti, del lavoro; oppure ricentrarsi sul rapporto con tutti i ceti produttivi ma dove la priorità rimane la difesa dei sottoprivilegiati attraverso la garanzia di servizi sociali universali degni di un paese avanzato; o ancora spingere verso una radicalità più netta contro le ingiustizie e le ineguaglianze. Sono versioni diverse ,che si ritrovano in tutte le socialdemocrazie europee ma tutt’ altro che alternative. Qualora coesistano all’interno di uno stesso partito, ne rafforzano l’appeal verso strati più ampi dell’opinione pubblica.
Infine, e non da poco, nonostante gli sbeffeggiamenti che il Pd riceve quotidianamente anche da supposti amici e, ancor più, da supposti osservatori indipendenti, si rivela l’unica forza politica dove si discute, si mettono sul tappeto idee e proposte e, alla fine, si decide dal basso. Altri partiti – con l ’eccezione della Lega - organizzano solo convention per applaudire leader che si sono fatti il loro partito. Una democrazia non può funzionare decorosamente se la critica viene esercitata maramaldeggiando verso chi appare lo sconfitto di turno, senza guardare al deficit democratico che affligge gli altri partiti, soprattutto quelli al governo.
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