Nel discorso di fine anno, il presidente Mattarella ha invitato a «consolidare e sviluppare le ragioni poste dalla Costituzione alla base della comunità nazionale». Occuparsi di diritti ed eguaglianza è oggi un atto di coraggio o di controtendenza. Lo fa Edmondo Mostacci nel suo libro “La Costituzione spiegata ai giovani”
Gli ottant’anni della Liberazione sono gli ottant’anni dal concepimento della Costituzione che vedrà la luce due anni e mezzo dopo. Il presidente Mattarella ce lo ha ricordato nel discorso di fine d’anno, quando ha parlato del 25 aprile come del «fondamento della Repubblica e presupposto della Costituzione». E ha incalzato: «Siamo chiamati a consolidare e sviluppare le ragioni poste dalla Costituzione alla base della comunità nazionale».
Chi si trova, felicemente, a dover andar in un’aula universitaria a parlare di Costituzione a studenti del primo o del secondo anno, non può non sentire il peso, quasi fisico, di una speciale responsabilità. Presentarsi davanti a cento o centocinquanta ventenni, oggi, e parlar loro di diritti e di eguaglianza, è un atto di coraggio. O, almeno, un atto di controtendenza. Checché se ne dica, parlare di diritti, oggi, non è glamour: basta guardare i flussi elettorali.
La prima sfida è far capire a quei ventenni che di Costituzione si parla perché lì c’è il discrimine tra l’essere suddito e l’essere cittadino. È affondando nella pagine della Costituzione – così intrise di fatica e di sangue, e un sangue spesso giovane come il loro – che si recupera la giusta postura dinanzi al potere politico, cui non va concesso mai più di quanto strettamente necessario.
Spiegata ai giovani
E se finora si è parlato di ventenni, questa è solo una sineddoche – la parte per il tutto. Così come è una sineddoche quella del titolo di un volume assolutamente da consigliare, pubblicato nelle ultime settimane dell’anno che si è chiuso.
La Costituzione spiegata ai giovani, di Edmondo Mostacci, professore di diritto pubblico comparato, edito da Diarkos, è una ricostruzione suggestiva e accessibile ai non addetti ai lavori – pur con ammirevole rispetto sia per l’oggetto della trattazione che per il lettore – di quelle che Mattarella chiamava «le ragioni poste dalla Costituzione alla base della comunità nazionale».
Il libro ha il pregio, tra gli altri, di chiarire due punti – che in fondo sono come l’ordito di tutta la trama tessuta da Mostacci – su cui il dibattito pubblico del nostro Paese, e non solo, ultimamente inciampa spesso, forse anche inclinato in questa direzione da certa politica.
Il primo è l’anteriorità dei diritti fondamentali rispetto alla democrazia costituzionale e al processo politico. Il che implica che «i diritti siano un limite ai processi democratici», oltre che, naturalmente, la necessaria «premessa della democrazia». È un punto che l’autore dice essere «cosa evidente», ma forse qui pecca di ingenuo ottimismo. Siamo piuttosto abituati, di recente, a narrazioni che invertono il rapporto tra processo politico e diritti fondamentali.
Il secondo punto che Mostacci chiarisce bene è il rapporto tra Costituzione e conflitto. Qui si gioca, in fondo, la natura stessa della democrazia costituzionale, che non nega il conflitto, ma vive di esso, dandogli la forma del processo politico.
Contro la tentazione di risolvere il conflitto eliminando quello che diventa così il nemico – in una narrazione spesso necessaria alla sopravvivenza di contenitori vuoti di idee – la democrazia invece permette «ai diversi gruppi sociali, ciascuno portatore di interessi diversi e spesso contrastanti, di confliggere senza che questa contrapposizione abbia però carattere distruttivo».
Diritti fondamentali e processo politico sono i due fuochi dell’ellisse abilmente costruita da Mostacci, senza che l’autore tema di andare in controtendenza rispetto ad alcune voci maggioritarie del dibattito pubblico, offrendo al lettore gli strumenti per resistere a pericolose seduzioni.
Come quando, con lineare semplicità e discorso lucido, aiuta a recuperare il valore della forma di governo parlamentare, «caratterizzata da un buon equilibrio tra tendenze centrifughe e centripete», in grado di frenare «derive di carattere plebiscitario o bonapartista, lontane dell’ideale della democrazia costituzionale».
Nel 1836, Alexis de Toqueville scriveva: «In tutti i Paesi civili, a fianco di un despota che comanda, si trova quasi sempre un giurista che legalizza e dà sistema alle volontà arbitrarie e incoerenti del primo».
Dio sa quanto, in questo 2025 – e forse ancora per un po’ – avremo invece bisogno di giuristi che, contro il despota che comanda, sappiano opporre le ragioni della Costituzione, come fa l’autore del volume di Diarkos. Anche questo – per tornare a Mattarella – è patriottismo.
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