Buon anno anche all’analfabetismo politico e costituzionale. Uno dei problemi del nostro paese è che gran parte di chi fa politica e di chi la commenta non comprende il funzionamento delle istituzioni
All’incirca un terzo degli italiani sono analfabeti funzionali, vale a dire che, definizione formulata nel 1984 dall’Unesco, sono «incapaci di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità».
Per molte buone ragioni è probabile che almeno un terzo di coloro che fanno politica in Italia e la commentano siano altrettanto deficitari (non ho scritto “deficienti”, ma potevo). Come spiegare altrimenti che insistono a criticare il bicameralismo italiano definendolo perfetto e quindi, più o meno implicitamente (e spassosamente), suggeriscono di migliorarlo rendendolo imperfetto?
Giustificano l’astensionismo con il “disagio”, sociale, giovanile, del Sud et al., non curandosi né del fatto che, quando fra il 1945 e il 1960, il disagio era certo più diffuso dei nostri giorni, votava più del 90 per cento degli italiani. Dimenticano, poi, di sottolineare che l’esercizio del voto è (art. 48 della Costituzione) “dovere civico”. Sostengono, senza tenere conto delle squilibrate situazioni di partenza, che l’autonomia differenziata produrrà una competizione virtuosa fra le regioni migliorando la vita dei cittadini.
Si schierano a favore di una povera definizione di governabilità che fa leva sulla stabilità dei governi, anzi, del capo del governo, senza neppure porsi il problema delle capacità dei governanti e, per l’appunto, del loro capo.
Grazie unicamente alla sua elezione popolare diretta, il capo dell’esecutivo sarà posto in grado di governare con le sue decisioni una società complessa (ancorché per un terzo analfabeta funzionale e, proprio per questo, più facile preda di populisti).
Certamente, buone regole e buone istituzioni costituiscono un fecondo punto di partenza per migliorare la politica. Però, se poi il miglioramento è affidato a chi il funzionamento di quelle istituzioni non lo capisce anche perché non ha gli strumenti per effettuare le indispensabili comparazioni con le altre democrazie parlamentari, presidenziali, semi presidenziali, gli esiti non saranno (non sono stati) affatto positivi. Invece, ne seguiranno nervose e pericolose forzature.
Insistere ad attribuire al Parlamento come prioritaria e fondante l’attività legislativa va contro i numeri: il 90 per cento delle leggi sono di origine governativa e in qualche modo rappresentano il tentativo delle coalizioni di governo di tradurre in politiche pubbliche le loro promesse programmatiche sottoposte agli elettori che li hanno votati.
La quantitativamente esagerata decretazione d’urgenza risolve in maniera non costituzionale i problemi di governanti incapaci di guidare le loro spesso rissose maggioranze e di un Parlamento che non riesce a svolgere appieno, libero e forte, il suo compito cruciale: controllare il governo, valutarne e correggerne l’operato, in questo modo informando e istruendo i commentatori e l’opinione pubblica ancorché spesso segmentata e manipolata.
Che poi, all’incirca negli ultimi trent’anni, troppi politici e commentatori si aspettino che la fisarmonica del Presidente gliele suoni ai politici e soprattutto ai governanti, è un’altra spesso mal posta aspettativa, destinata ad essere delusa. Dal Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale, sono di frequente venute necessarie parole di verità, stiracchiate secondo le loro convenienze e ignoranze dagli interpreti politici. Triste è doversi interrogare se anche i solenni messaggi presidenziali di fine anno non si siano oramai logorati. Ne ho intravisto qualche segnale nel discorso del Presidente Mattarella.
«Le democrazie nascono con i partiti; i partiti nascono con le democrazie», scrisse nel 1942 il professore di Scienza politica Elmer Schattschneider.
L’inquietante implicazione è che il declino dei partiti accompagna, non voglio scrivere né condiziona né, tantomeno, causa il declino quanto meno della qualità delle democrazie. Intraprendere una vigorosa azione di pedagogia politica, istituzionale e costituzionale è assolutamente indispensabile e urgente. Può anche dare insperati frutti di consenso politico elettorale. Facciamoci gli auguri.
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