Finora la priorità era l’organizzazione della manifestazione della piazza. Poi il Pd ha un’agenda parlamentare impegnativa da affrontare, in attesa di europee e amministrative
In queste settimane, la riuscita della manifestazione di sabato è stata una delle non poche preoccupazioni del Nazareno. Giustamente: il colpo d’occhio di piazza del Popolo sarà l’immagine plastica dello stato di salute del Pd. Ogni espediente per confondere il risultato sarebbe giudicato, altrettanto giustamente, segno di debolezza.
Eppure riempire la piazza, benché non scontato, è il cimento meno complicato per la segretaria. Fin qui è stata capace di tenere unito il Pd, dall’Ucraina al Medio Oriente, e anche questo non era scontato. Ma da stasera, centrato anche il target di popolo – se lo sarà – Elly Schlein si troverà di fronte al che fare di questo risultato.
L’agenda parlamentare è impegnativa: il Pd e le opposizioni devono cercare una qualche efficacia dinanzi alla legge di bilancio: il capitolo sanità grida vendetta in ogni angolo del paese. Intanto devono organizzare la lunga marcia contro contro la goffa velleità accentratrice della premier: che è la grande occasione per rispondere al sottotitolo della manifestazione: «L’alternativa c’è».
L’alternativa
Se davvero «l’alternativa c’è», senza interrogativi, Schlein dovrà dimostrare di saperla organizzare, e guidare. Non basterà opporsi alla riforma costituzionale. Servirà costruire con pazienza una proposta unitaria della gran parte delle opposizioni, che indichi la prospettiva costruens di un eventuale destruens Fronte del no al referendum.
Prova difficile, nel fuoco di una campagna per le europee che innescherà la sfida del tutti contro tutti. Ma, qui c’è Rodi: e la battaglia è la strada per costruire quell’alternativa di cui il Pd in piazza afferma l’esistenza, con un ottimismo che oggi suona eccessivo.
La capacità di fare «il Vietnam» sulla riforma, come alcuni parlamentari promettono, non basterà a fermare il premierato sghembo e la riduzione notarile del ruolo del presidente della Repubblica. Schlein dovrà saper leggere le crepe che attraversano la maggioranza: dovrà insomma «fare politica», che non è solo preparare per giorni e con cura un buon intervento dagli scranni. E «fare politica» sarà il banco di prova per lei e per il gruppo di punta che lei ha scelto per condurre le danze alle camere; a partire dai capigruppo.
E ancora: dopo la piazza dovrà affrontare il dossier europee: decidere se candidarsi in tutte o quasi le circoscrizioni, con l’obiettivo di pesare la sua forza attrattiva nel risultato. Se ne capiscono i vantaggi, ma anche i risvolti sconsigliabili: primo, contraddice la «narrativa del noi» che Schlein stessa ha utilizzato fin qui; secondo, contraddice la sana tradizione di un partito che considera ogni candidatura un impegno, e un tradimento ogni rinuncia al ruolo per cui ha chiesto voti; terzo, ma tutt’altro che ultimo, penalizzerebbe l’elezione di altre donne: un’altra contraddizione impotabile delle petizioni di principio.
Verso le elezioni
Infine le molte amministrative in arrivo. Nelle alleanze che il Pd tenta nelle città, si capisce l’obiettivo di stringere i bulloni con il M5s. Ma spesso a scapito delle primarie: perché la rinuncia alle primarie per i grillini è condizione stessa per sedersi a un tavolo. Non è una scelta che va fatta sbadatamente: il rischio è che il duello estenuante in cui Conte attira la segretaria Pd sia una trappola.
E che il matrimonio con i grillini provochi il divorzio da una parte della galassia di forze politiche e civiche che nelle primarie ormai identificano una strada per contare nell’alleanza. Il conflitto, forse la rottura, che in queste ore si consuma in Sardegna è un campanello di allarme. E credere di poter andare «di sconfitta in sconfitta verso la vittoria finale» è una penosa autoillusione.
La relativa pace interna, il tempo e il credito che bon gré mal gré tutto il partito le ha accordato dopo la vittoria delle primarie, è la possibilità di affrontare queste curve con guida solida. Rimandare le questioni al presunto momento migliore per affrontarle, espone Schlein al rischio che a quel momento arrivi indebolita. La storia del Pd è zeppa di segretari eletti dalle primarie che non hanno concluso il loro mandato. Questa storia deve essere cambiata; e in fondo era questa, oltreché un Pd che si riprende il suo elettorato dall’astensione e dai Cinque stelle, la promessa delle primarie.
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