Nel dibattito politico e istituzionale circolano da troppo tempo posizioni e affermazioni empiricamente prive di riscontri e teoricamente insostenibili che si traducono in proposte di riforma sbagliate. La prima riguarda il compito principale del parlamento: fare le leggi. Dovrebbe, anzitutto, incuriosire il fatto che un po’ dappertutto è chiamato parlamento, e molto raramente assemblea legislativa.

Il fatto è che nelle democrazie parlamentari come, in ordine alfabetico, la Germania, la Gran Bretagna, l’Italia, la Norvegia, la Svezia e così via, fra l’80 e il 90 per cento delle leggi emanate sono di origine governativa.

I governi “fanno” le leggi, ovvero le scrivono, e il ruolo, che rimane importante, del Parlamento consiste nel discuterle ed emendarle, poi anche di valutarne l’attuazione. Se e quando il governo non è soddisfatto del testo uscito dalle commissioni e in via d’approvazione da parte dell’aula – succede, ma molto raramente – può semplicemente addirittura ritirarlo.

Che sia il governo con il sostegno della sua maggioranza, e non il parlamento, cioè i parlamentari a loro piacimento, a fare le leggi è politicamente opportuno, persino necessario. I partiti, avendo vinto le elezioni, hanno ricevuto quanto di più simile possa essere a un mandato. In coalizioni multipartitiche l’eterogeneità è, entro (in)certi limiti, la norma. In parte, la soluzione balorda che ricompatta la maggioranza consiste nell’emanare decreti. La decretazione è la prova provata che le leggi le fa il governo, ma è anche la degenerazione dell’attività legislativa. Raramente i decreti hanno i requisiti costituzionali straordinari della necessità e dell’urgenza.

Soprattutto, l’urgenza è spesso procurata dai ritardi, più o meno voluti, del governo e della sua maggioranza, dalla cattiva gestione dei tempi e dei modi, da mancati accordi.

Ciò detto, rimane intollerabile. Pure già più volte intervenuti con critiche e indicazioni, sia il presidente della Repubblica sia la Corte costituzionale dovrebbero alzare il livello della loro severità ad esempio nella odiosa fattispecie dei decreti omnibus, per definizione esattamente il contrario dell’omogeneità. Sono diventati regali di Natale. Il peggio, però, è che con la micidiale tenaglia “decreto più voto di fiducia”, il governo toglie non solo alle opposizioni, ma alla sua stessa maggioranza, la possibilità di discutere ed emendare i suoi testi, consapevolmente e deliberatamente facendo dei parlamentari veri e propri passacarte, certamente violando i principi a fondamento di qualsiasi democrazia parlamentare.

Altra questione delicata sono le nomine che il governo può fare per un’ampia gamma di cariche. Legittimamente i governanti possono nominare anche parenti e amici a una pluralità di cariche politiche, in particolare quelle ministeriali in senso lato che sono preposte all’attuazione del programma.

Sono affari dei governanti se privilegiare la lealtà o la competenza, con la prima che può andare a scapito delle prestazioni e del rendimento del governo. Giudicheranno gli elettori.

Molto diverso è il caso delle nomine che riguardano cariche definibili di garanzia: il presidente della Repubblica e i giudici costituzionali. Non per caso i costituenti hanno previsto maggioranze specifiche, almeno assolute, spesso qualificate. Non è affatto un incentivo al più o meno deprecabile consociativismo. Più semplicemente è l’invito tassativo alla ricerca di personalità di competenza e prestigio che trascendono la parte politica di provenienza. Anche in questo caso il parlamento ha un ruolo rilevante da svolgere.

A tutti coloro che ritengono che il parlamento sia declinato perché non fa più le leggi può non bastare sapere che non le ha mai fatte e che, in una democrazia parlamentare, è preferibile e inevitabile che sia così. Allora, bisogna evidenziare e sottolineare che, oltre a controllate tutte le attività del governo, il parlamento ha due importantissimi compiti da svolgere.

Primo, il parlamento è luogo di confronto di governo e opposizione, di espressione delle preferenze e delle visioni di società, di progresso, di futuro, in qualche modo contribuendo alla formazione dell’opinione pubblica.

Secondo, è la sede più elevata e insostituibile della rappresentanza politica, dove gli eletti hanno la possibilità di agire secondo le aspettative, i bisogni e le speranze dei loro, ma non solo, elettori. Che la vigente legge elettorale non sia la migliore (questo è un gigantesco understatement) per dare rappresentanza politica e sociale minimamente soddisfacente è acclarato.

Allora, chi vuole un parlamento migliore non deve preoccuparsi più di tanto della legislazione, ma della selezione dei rappresentanti, solo talvolta anche legislatori.

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