Raccontiamo in questi giorni altre due donne barbaramente uccise, Sara e Ilaria, sgomenti di come sia possibile.

Giornali e trasmissioni tv in questi giorni dedicano molto spazio all'educazione affettiva e sentimentale nelle scuole, troppo spesso introducendo al tema attraverso le storie di femminicidi più dolorose e cruente. Per legittimare l'educazione sentimentale e alla parità di genere dobbiamo per forza mettere le mani nella pancia delle persone?

Negli anni '90 nelle scuole stava diventando consuetudine accogliere progetti di educazione socio affettiva e sessuale. Le mie colleghe avevano pensato un percorso triennale che accompagnava gradualmente l'ingresso nella pubertà dei preadolescenti, aiutandoli a riconoscere i cambiamenti della crescita e le emozioni che ne derivano e che regolano le relazioni fra pari, fino in terza media dove il focus era l'educazione alla sessualità, gestita insieme a una ginecologa, nel rispetto dei tempi di crescita di ognuna e ognuno.

In questi ultimi anni abbiamo misurato come in Italia ciò che poteva diventare legge e consuetudine, parte del programma educativo di ogni scuola formando gli insegnanti affinché fosse presupposto di ogni agire educativo, sia diventato una questione ideologica, verso la quale essere pro o contro, millantando il rischio di indottrinamento su la teoria del gender ogni volta che si parla di educazione sentimentale e dintorni, mentre quasi tutti i paesi europei hanno invece adottato l'educazione sessuale nei loro programmi scolastici.

Ostilità ideologica

A febbraio il Comune di Roma ha emesso un bando di gara per finanziare attività di educazione affettiva e alle relazioni, contrasto della violenza di genere e alle discriminazioni. In molte scuole la proposta ha raccolto un'accesa ostilità da parte di una importante percentuale di insegnanti, forse ideologicamente prevenuti, e magari convinti che i professionisti che lavorano su queste tematiche avrebbero messo in scena il festival della fluidità. Per fortuna questa ostilità non ha impedito a un centinaio di scuole di partecipare al bando di gara, convinte che ce ne sia un enorme bisogno.

Negli stessi giorni a Milano il collettivo di gestione del liceo Leonardo si è visto rifiutare il permesso per un incontro sulla prevenzione e il contrasto della violenza di genere, per la grottesca motivazione di «mancanza di contraddittorio»: non è chiaro se la voce che mancava fosse quella di un abusante.

Mentre sempre a Roma, al contrario, al Liceo Montale, monta la polemica su un progetto che dovrebbe svolgere l'associazione Pioneer, e i genitori dichiarano: «Si presentano come un generico corso di educazione affettiva per poi parlare di corpo e identità in un’ottica anti-lgbt, da negazionisti del femminicidio e anti-aborto»,

Di queste situazioni ne ricorrono continuamente, nonostante i numeri su femminicidi e violenza di genere non accennino a diminuire, e che questi fenomeni si manifestino già in tenerissima età, dimostrando che abbiamo un enorme problema di rispetto reciproco, di accettazione dell'altro/a e dei suoi sentimenti, di capacità di stare nelle relazioni facendo nostra la cultura del consenso.

Il ruolo della scuola

Altrettanti sono gli episodi di violenza fra pari, adolescenti e giovani, spesso coltello alla mano. Sono violenze diverse, ma tutte nate nella stessa difficoltà di vivere relazioni giuste ed equilibrate, di attraversare le emozioni nel pensiero e nella parola prima dell'agito tragico.

Non mi addentro su tutto ciò che la scuola potrebbe già fare a partire dalla primaria, perché non è il campo in cui sono più competente, ma sulla secondaria di primo grado posso parlare dopo 25 anni di attività.

L'educazione all'affettività è condotta da persone formate in ambito psicologico ed educativo nella quasi totalità dei casi, e aiuta gli adolescenti a fare i conti con le loro emozioni, le paure, i pregiudizi, che troppo spesso comportano la difficoltà di stare nelle relazioni fra pari, anche amicali, perché attraversati da sentimenti molto intensi che non comprendono o che li spaventano, e che alimentano gelosie, conflittualità, e sempre di più una forma di attaccamento molto possessivo in cui c'è un forte bisogno di dipendenza dall'altr*. Di pari passo gli insegnanti dovrebbero utilizzare una comunicazione non violenta e scevra da stereotipi di genere.

Il mondo dei desideri, delle pulsioni, degli affetti, diventa totalizzante dalla pubertà in poi, anche per il bisogno di appartenere al gruppo, mentre, da spugne identitarie quali soprattutto fra gli 11-12 e i 16-17 anni, cercano di capire "a quale modello somigliare", e spesso non trovano spazio di relazione, dialogo e comprensione nelle famiglie, perché tutti questi turbamenti imbarazzano i genitori quanto i figli.

Per questo la scuola è il contesto privilegiato per trattare una dimensione imprescindibile e inevitabile come la sessualità, che tutte e tutti devono loro malgrado scoprire negli anni più disordinati, fragili e vivaci della loro vita.

Si può, anzi si deve, parlarne già in pre-adolescenza, per sfatare i pericolosi tabù che finché restano "non detti" o non compresi spingono ragazze e ragazzi a cercare altrove, a nutrirsi delle immagini distorte e violente che il web rimanda, a scambiare le pornografia per educazione sessuale.

La sfera del proibito

Educare alle relazioni vuol dire educare al rispetto reciproco, dare voce ai propri sentimenti potendoli riconoscere e dunque nominare, come alle proprie ansie e alle fantasie di fallimento, prima che diventino fuga, chiusura, o agito violento, prevaricazione o rifiuto. Vuol dire saper convivere con le separazioni e i rifiuti.

Quando la sessualità non è nominabile, o non può essere curiosità che genera domande a cui persone competenti possono rispondere, viene relegata nella sfera del proibito, del trasgressivo, della scoperta che devi fare da solo o da sola, ed è lì che i giovanissimi costruiscono un immaginario spesso lontano dalla realtà, combattuti dalla tenerezza travolgente dei primi amori e l'idea che il mondo si aspetti che sappiano fare le cose da grandi, che sappiano fare sesso, che lo abbiano già fatto prima e meglio di tutti gli amici che hanno intorno, ognuno intento a far credere esattamente questo.

Il proibito diventa volgare, e può diventare violento, o anche solo essere fonte di ansia, di angoscia, tristezza, di insuperabili timidezze.

«Qual è la prima parola che vi viene in mente se vi dico la parola sesso? È un brain storming, non ci sono risposte giuste, non c'è censura, perché le parole sono volgari solo se le nominate affinché lo siano, diversamente sono solo parole, e ci aiutano a capire di cosa stiamo parlando».

Iniziamo così con le classi, quasi sempre, e si apre un mondo fatto soprattutto di tenerezza.


*Esperto dei processi educativi

Responsabile educativo ÀP - Antimafia Pop Academy

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