Ancora una volta, il Consiglio Europeo ha sancito l’incapacità dei paesi europei di costruire una risposta comune al problema energetico. I pochi progressi non possono cancellare la timidezza sui dossier più importanti, come il tetto al prezzo del Gas
Come altre volte in passato il Consiglio europeo che si è chiuso venerdì colpisce in primo luogo per il contrasto tra il trionfalismo dei leader e il contenuto del comunicato finale. La Commissione aveva sottoposto al Consiglio un pacchetto di misure abbastanza ambizioso: in primo luogo, acquisti comuni di gas e un coordinamento nell’uso delle infrastrutture; poi meccanismi di solidarietà per la ripartizione delle scorte; infine, misure per migliorare il mercato TTF e l’introduzione di limiti di prezzo del gas.
Il Consiglio si è chiuso con l’indicazione alla Commissione di lavorare a proposte concrete su queste misure.
Alcune delle proposte potrebbero fare la differenza, come la decisione creare la piattaforma comune di negoziazione. Questo consentirà, da un lato di avere un potere negoziale maggiore con i fornitori; dall’altro, di replicare la strategia messa in atto con i vaccini per il Covid ed evitare così la corsa ad accaparrare il gas in caso persistano tensioni dal lato dell’offerta.
Tuttavia, a otto mesi dall’inizio della guerra, non è ancora chiaro se, e soprattutto quando, vedremo un tetto temporaneo al prezzo del gas. Certo, il Cancelliere Scholz ha ceduto alle pressioni e ha abbandonato la sua opposizione (il motivo dei trionfalismi di venerdì).
La Germania ha però imposto condizioni che ne limiterebbero la portata e chiarito che il via libero definitivo non è affatto scontato.
Lo stesso può dirsi per la proposta di replicare per le spese energetiche il meccanismo di prestiti SURE, adottato nel 2020 per finanziare le spese a protezione del mercato del lavoro.
In un contesto di tensioni crescenti sui tassi di interesse e di debito pubblico di nuovo in crescita, proteggere i paesi più fragili dalla pressione dei mercati non sarebbe solo una dimostrazione di solidarietà ma consentirebbe anche di preservare la stabilità finanziaria dell’intera zona euro, con vantaggi per tutti.
Anche su questo il Consiglio ha deciso di decidere in futuro, con una strategia consolidata per l’Ue: mostrare che si è uniti nel rimandare le decisioni.
Ognuno per sé…
Insomma, i modesti progressi del Consiglio, certificano definitivamente che ogni paese europeo è solo di fronte alla crisi energetica. Questo ha una serie di importanti implicazioni che tutti i governi farebbero bene a tenere a mente.
In primo luogo, ci sarà da scegliere come ripartire il costo della crisi (che dovrebbe essere tra i tre e i quattro punti di Pil) tra famiglie, imprese e collettività (tramite un aumento dei disavanzi). È semplicemente impensabile che il costo sia addossato tutto ad un solo attore. La distribuzione dello sforzo sarà centrale nel preservare il contratto sociale.
L’inflazione è notoriamente una tassa sui poveri, che hanno redditi fissi (salari, pensioni, prestazioni sociali), meno possibilità di differenziare i portafogli per proteggere i propri risparmi (se ne hanno), e panieri di consumo più soggetti all’aumento dei prezzi: il peso di voci come la benzina, il riscaldamento, gli alimentari è infatti superiore nei panieri di consumo delle classi meno agiate.
Che sia per senso di giustizia o per evitare tensioni sociali, le politiche pubbliche dovranno redistribuire almeno in parte il costo dell’inflazione facendo contribuire le categorie che hanno avuto più benefici dal periodo della pandemia e ora dall’aumento dei prezzi dell’energia.
Questo vale per i redditi d’impresa (gli extra profitti) ma anche per quelli personali. Un aumento delle aliquote marginali (eventualmente temporaneo, se manca la volontà politica di una svolta in senso progressivo del sistema tributario) dovrebbe essere preso in considerazione.
La seconda cosa da tenere a mente per i governi (e qui pensiamo in particolare al governo italiano entrante, sia per le posizioni prese in passato dai partiti che lo sosterranno che per la posizione debitoria del nostro paese) è che rispettare tempi e obiettivi del Pnrr è in questa fase assolutamente fondamentale.
In primo luogo, banalmente, per continuare a ricevere le rate del prestito e poter finanziare progetti di investimento che (soprattutto in una fase di tensione sulle finanze pubbliche) rischierebbero di essere abbandonati.
Ma anche, e questo troppo spesso è dimenticato, perché il rispetto delle condizionalità del PNRR è condizione necessaria per l’attivazione dello scudo anti-spread della BCE. È molto probabile che nei prossimi mesi continuino le tensioni sui tassi; è quindi importante che i mercati non dubitino del fatto che in caso di pressione eccessiva la BCE sarà pronta ad intervenire.
… e la BCE per tutti?
Questo porta ad una considerazione conclusiva. Se tra gli Stati membri continua a prevalere un miope approccio non cooperativo, potremmo tornare, come nel 2012, ad aver bisogno dell’intervento della BCE. Già allora, il whatever it takes non fu altro che la presa di coscienza del fatto che la banca centrale era l’unico attore, sia pur rilutante,sulla scena.
Nei corridoi di Francoforte ci si comincia ad interrogare sull’opportunità di continuare nel sentiero di aumento dei tassi, di fronte ad una situazione economica sempre più deteriorata.
Di fronte a tensioni eccessive sui bilanci pubblici la Bce potrebbe di nuovo essere obbligata a varare un programma di sostegno ai paesi membri impegnati nel controllo dell’inflazione.
Qualche giorno fa l’economista di Warwick Giovanni Ricco ha presentato un’interessante proposta, tanto semplice quanto ingegnosa, che consentirebbe di spalmare nel tempo l’inflazione e i suoi costi: la Bce varerebbe un programma di acquisti del “debito energetico”, la quota di debito pubblico legata a misure di protezione dell’economia. Questo consentirebbe agli Stati membri di tenere sotto controllo l’inflazione senza pressioni dai mercati.
La Bce poi si impegnerebbe fin d’ora a non tenersi quel debito in pancia, ma a rilasciarlo gradualmente, per tenersi vicino al sentiero di inflazione futura desiderata. Detto altrimenti, la BCE in futuro deciderà in piena autonomia quanto debito energetico redimere in ogni periodo per controllare la liquidità in circolazione e tenere l’inflazione vicina al suo obiettivo.
L’inflazione eliminata oggi, quindi, riemergerebbe in futuro ma spalmata nel tempo, più moderata e prevedibile, e quindi meno costosa.
Come ha fatto per il Qe la Bce dovrebbe conservare il controllo totale sulla quantità di debito iniziale da acquistare e sul profilo temporale di rilascio nell’economia, per evitare comportamenti opportunistici da parte dei governi e la subordinazione delle proprie scelte alla politica di bilancio.
Questa proposta potrebbe farsi strada o no. Quello che sembra certo, tuttavia, è che l’inerzia dei paesi europei potrebbe costringere ancora una volta la Bce a prendere, per quanto controvoglia, il centro della scena. Forse la prima ad essere scontenta dell’esito del Consiglio di ieri è proprio Christine Lagarde.
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