- Cari figli, noi proviamo a dirvi “non dimenticatevi mai delle vostre origini, non dimenticate da dove venite”.
- Ma la frase resta vuota, perché noi stessi abbiamo preparato per voi, sin dal vostro arrivo nel mondo, una versione di noi. Un racconto.
- E i nostri genitori avevano preparato per noi una versione di loro stessi. Quindi la catena della memoria è piena di sostituzioni con pezzi non originali.
Cari figli, la memoria non è il ricordo, non è neanche la nostalgia. La memoria è un lavoro duro, sporco e faticoso, che richiede di guardare in faccia il nostro passato per quello che è. Il contrario del selezionare, del correggere, del presentare.
Nell’epoca in cui siete nati, le identità sono continuamente ripulite per mostrare agli altri “la versione migliore di voi stessi”, e la memoria, dietro i proclami dolciastri, è perlopiù un fastidio. Viene anzi fatta a brandelli da chi finge di tutelarla.
Mi viene in mente una persona famosa che conosco, non dirò chi è, non conta, una persona che ha modificato il racconto delle sue origini, rendendole più borghesi di quello che sono.
In realtà queste origini sarebbero interessanti, contengono una storia, ma questa storia non verrà mai raccontata.
Peccato. Forse la ruberò io, un giorno, per un romanzo. Nessuno verrà a protestare, o forse finalmente la persona rivelerà qualcosa al mondo, pur di non farsi derubare.
Cari figli, noi proviamo a dirvi “non dimenticatevi mai delle vostre origini, non dimenticate da dove venite”.
Ma la frase resta vuota, perché noi stessi abbiamo preparato per voi, sin dal vostro arrivo nel mondo, una versione di noi. Un racconto.
E i nostri genitori avevano preparato per noi una versione di loro stessi. Quindi la catena della memoria è piena di sostituzioni con pezzi non originali.
È la natura umana, ingentilire, impreziosire. Certo, ci sono aspetti del genitore di cui il figlio fa esperienza in prima persona, banalmente la maniera di essere genitore, e lì c’è poco da nascondere, anzi un figlio può giudicare in quel frangente come nessun altro.
Ma poi c’è il resto, la storia che ci piace raccontare agli altri, come un velo che ricopre le cose e le deforma, trasformandole in fantasmi.
Il racconto della vita diventa così, via via, inattuabile. Chi prova a raccontare il vero spesso si scontrerà non solo con le proprie reticenze, ma anche con il muro invalicabile delle deformazioni operate da altri prima di lei – o di lui.
Ma perché questo conta? Non tutti dobbiamo scrivere romanzi, e certamente se li scriviamo non devono essere per forza autobiografici.
Però non è il punto, non c’entra solo la scrittura. Il punto è che la memoria di sé è legata alla memoria di un contesto sociale, e dunque rivela sempre qualcosa del funzionamento del mondo.
È un ragionamento più grande di noi, e in qualche modo va fatto vivere. Se non diamo il nostro contributo, anche solo sforzandoci di coltivare una memoria che sia tale, un pezzo di mondo morirà. I nostri aneddoti abbelliti non serviranno.
Tutti bellissimi
Un amico mi racconta sempre di come nella sua famiglia gli antenati siano descritti spesso come “bellissimi”. Frasi come “la zia da giovane era bellissima”.
Puntualmente lui va a vedere le foto e l’aspetto della zia è, senza voler offendere nessuno, non proprio bellissimo. Però niente da fare. “Era una bellissima donna”.
I morti spesso vanno incontro ad abbellimenti. Il senso di colpa dei vivi trasforma i morti in persone straordinarie. La verità dei morti scompare, e con essa la loro dimensione storica.
Osservo su Instagram uno di quei profili che mettono solo immagini di vacanze, pranzi, cene e feste. Sotto una di queste immagini trovo una frase sull’autenticità, sul presentarsi per quello che si è.
Poco dopo osservo un profilo dove una persona che sta seguendo una dieta mostra via via i risultati, mettendo foto in costume da bagno.
Di nuovo, qua e là, il messaggio sul mostrarsi per quello che si è. Non è chiaro quale dei due profili dica qualcosa di più reale. Entrambi? Nessuno?
L’autenticità, l’autentico. Il genuino. È un attimo, ci si distrae, e si arriva al tradizionale, alla tradizione, e infine all’identità di sé e di un popolo.
In questo senso alcune forze politiche si sentono portatrici dello spirito del tempo. Ma chi veramente avesse in cima ai suoi obiettivi l’autenticità, starebbe di fatto chiedendo di attuare un processo spiacevole: basta ricordi impreziositi, basta nostalgie, e avanti con il bene ma anche il male di quello che siamo stati. Spiacevole, ma fantastico e rivoluzionario.
Non è quello che la politica ha in mente. L’autentico, per la politica, è solo un’etichetta posta sul desiderio di irrigidire le cose.
Cari figli, cosa dovete fare, dunque, per lavorare bene con la memoria?
Io vi suggerisco, come sempre, di cercare di annoiarvi. Mi direte: cosa c’entra, mamma, perché tiri sempre fuori la noia?
Perché quando siamo immersi nella noia restiamo veramente soli col cervello, e magari troviamo soluzioni ai problemi difficili.
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