Gli europei conoscono Donald Trump, le sue idee e i suoi obiettivi politici. Ciò nonostante, è probabile che nei prossimi quattro anni ci sorprenderà e, in particolare, in tanti si interrogano su quali saranno i rapporti tra l’America trumpiana e un’Europa che, per poter difendere decorosamente i suoi interessi, dev’essere forte e unita.

Lo stretto rapporto tra gli Usa e l’Europa è stato un cardine essenziale dell’ordine mondiale nel Novecento. Nelle due guerre mondiali l’intervento americano in soccorso delle democrazie europee ha segnato la storia. Centinaia di migliaia di giovani soldati americani hanno perso la vita per garantire la libertà dell’Europa che, senza il loro sacrificio, sarebbe stata terra di conquista per Hitler.

Oggi l’alleanza euroatlantica resta essenziale per la stabilità del pianeta. Prima ancora che per ragioni economiche e militari, lo è per i valori, la cultura e la storia di cui è stata sinora testimone. Se nel mondo hanno ancora cittadinanza i principi della democrazia e i diritti delle persone, lo si deve in buona parte alla forza dei dettati costituzionali nei paesi europei e negli Usa.

Se l’alleanza dovesse allentarsi, le conseguenze sarebbero molto rilevanti e la profezia di Putin sulla fine del pensiero liberale rischierebbe di inverarsi.

Il declino isolazionista

In una visione di corto respiro gli Usa potrebbero preferire un’Europa priva di unità politica, dove contano i singoli Stati. Ma, in una chiave più strategica, agli Usa servirebbe di più poter contare su un alleato europeo forte economicamente e leale sul piano della sicurezza. L’Europa senza gli Usa sarebbe una preda facile. Gli Usa senza l’Europa accentuerebbero il loro isolamento e la storia insegna che lo star da soli è sempre stato l’anticamera del declino.

Da questo punto di vista la qualità del nuovo rapporto tra l’Unione e gli Stati Uniti assume un rilievo geopolitico che va oltre i loro specifici interessi. Conterà molto il tipo d’Europa con cui Trump dovrà trattare. Un conto è un’Europa federata o anche, soltanto, confederata. Un altro un’Unione solo economica, ideale per il “divide et impera” trumpiano e putiniano.

Il prolungato silenzio della diplomazia europea sulle incursioni israeliane contro i reparti Unifil in Libano e sull’ingresso in guerra della Corea del Nord indica cosa rende debole l’Europa: la mancanza di un vero governo democratico.

Il XXI secolo è iniziato con la guerra. La Cina e gli Usa, la Nato e i Brics, l’India, l’Iran, la Turchia e la Corea del Nord, il Medio Oriente, l’Indo-Pacifico, la vocazione militare della Russia, stanno cambiando in profondità gli equilibri del Pianeta e nessuno può sapere come e quando il nuovo ordine mondiale si assesterà. Ma il processo non è pacifico: è fatto di guerre, di competizione economica, di migrazioni di massa, di armamenti sempre più distruttivi. L’Europa, con la sua marginalità geopolitica, conta poco.

Se l’Europa ha interesse a incidere sui processi di pace, di sviluppo economico e di solidarietà sociale del Pianeta, deve partire da qui, sapendo d’aver davanti tre opzioni.

La prima è quella di non cambiare niente e restare una onorevole Unione prevalentemente economica. In fondo, sino all’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin, l’Unione economica è sembrata un risultato più che sufficiente per 27 Stati tenuti insieme da una moneta unica e da importanti trattati.

Ma con le due guerre, con la transizione ambientale, tecnologica e industriale, la storia ha cambiato senso e la natura economica dell’Unione ha mostrato i suoi limiti. Con la logica conseguenza che sono gli Usa di Biden che hanno dato la linea alle democrazie occidentali nelle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e sono gli Usa di Trump che continueranno a darla d’ora in avanti. E non potrebbe essere diversamente visto che l’Europa non c’è.

Sonnambulismo

Un continente ricco come l’Europa, se rinuncia all’unità politica, vuol dire che, da vera sonnambula, ha scelto il proprio benessere che, quando nel mondo non si conta nulla, può essere molto effimero.

La seconda opzione, quindi, è quella di trasformare l’Unione europea da soggetto prevalentemente economico in un’unione politica, in buona sostanza fare dell’Europa un vero Stato, una Federazione o una Confederazione. Tra le “grandi decisioni” di cui parla Mario Draghi, questa è degna di un pensiero lungimirante.

Ma dovranno essere superati grossi ostacoli, a cominciare dallo spirito nazionale e persino nazionalista degli attuali 27 membri dell’Unione. E poi l’estrema delicatezza dei passaggi istituzionali necessari: fine del diritto di veto, un vero parlamento con pieni poteri legislativi, un governo democratico con la fiducia del parlamento e la titolarità, a nome dei 27, della politica estera e di difesa.

Soltanto la volontà di tutti i singoli Stati potrebbe far nascere la Federazione europea, ma di questa volontà ancora non si vede l’ombra. Ciò nonostante, la battaglia per l’evoluzione politica dell’Europa (o anche solo di una sua parte significativa) resta l’unico passaggio in grado di darle autorevolezza e voce. Predicare la pace senza avere l’influenza necessaria per farsi sentire, mette a posto la coscienza, ma serve a poco.

La terza opzione non la vuole nessuno, ma la volontà dei cittadini europei e persino quella degli Stati può essere travolta dagli avvenimenti e non si può escludere che la concordia tra i 27 paesi che formano l’Unione possa degenerare sino a rendere reale una parola oggi impronunciabile: disgregazione.

Dobbiamo stare attenti. C’è già stata la Brexit che ai più non sembrava possibile. E c’è l’utilizzo disinvolto del diritto di veto e della carica di presidente dell’Unione che ne incrinano la tenuta. E c’è anche la fragilità dei sistemi politici dei principali paesi europei che ne fiacca l’iniziativa.

L’Europa sa che anche su di lei incombe il rischio della guerra. Ma può accadere che queste preoccupazioni, invece di spingere gli Stati europei a rafforzare il cemento ideale che dovrebbe unirli, ne accentuino le differenze, li spingano su schieramenti contrapposti, determinino scontri tra chi investe di più nella difesa e chi non può farlo. Ma l’Europa non può tornare indietro, può solo andare avanti, pena la sua stessa sopravvivenza.

La disgregazione dell’Europa può nascere dagli avvenimenti e dal prevalere dell’interesse dei singoli Stati sull’interesse comune. Nessuno la vuole, ma può arrivare dall’incompiutezza di un’Unione che senza unità politica non ce la fa a reggere una sfida che non è più solo culturale ed economica, ma è diventata anche militare, di guerra e di pace.

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