Entrambi i leader dicono di volere la pace e di essere pronti a trattare. Finché l’esercito avanza, però, Mosca è poco incline alle concessioni
La relazione tra Trump e Putin sembra essere cominciata nel migliore dei modi, con il leader russo che si dichiara pronto a trattare la pace in Ucraina con il presidente eletto «anche prima dell’insediamento» e ne loda il «coraggio virile», mostrato durante l’attentato subito in campagna elettorale. Ma con l’esercito russo che avanza a una velocità senza precedenti dalle prime settimane dell’invasione, il prezzo che il Cremlino chiederà in cambio di trattative di pace potrebbe rivelarsi troppo alto, persino per il “maestro negoziatore” Donald Trump.
A Kiev, nel frattempo, si guarda questa enorme montagna da scalare per arrivare ai negoziati con un filo di speranza. Se il tentativo di Trump dovesse fallire, chi può dire come si comporterà l’imprevedibile presidente? Nel tentativo di mettere pressione su Putin, Kiev potrebbe finire con il ricevere più aiuti, o almeno la rimozione delle linee rosse imposte fino ad ora dall’amministrazione Biden.
Cosa ha in testa Trump?
Il punto centrale è che al momento nessuno sa cosa Trump intende fare davvero - probabilmente nemmeno lui. Tanto a Mosca quanto nella capitale ucraina, si lavora su un materiale molto esiguo. Il presidente eletto ha parlato di Ucraina soltanto un paio di volte nel corso della campagna elettorale e lo ha fatto soltanto in termini estremamente vaghi, come quando a maggio dell’anno scorso ha promesso di mettere fine alla guerra nel giro di 24 ore, ancora prima di insediarsi.
Quello che è certo e che non gli mancano i suggerimenti. Secondo il Wall Street Journal, la scrivania di Trump al momento è sommersa di piani di pace che promettono di mettere fine al conflitto prima del giorno della sua inaugurazione tramite varie combinazioni di riconoscimenti delle rivendicazioni russe e garanzie per gli ucraini.
Per il settimanale Economist, questi piani si dividono in due approcci principali. Il primo, collegato al vicepresidente JD Vance, presuppone la cessione a Putin di tutto il territorio occupato e la neutralità dell’Ucraina, senza altri meccanismi per scoraggiare future aggressioni. Il secondo, spinto dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo, in lizza per diventare il nuovo capo del Pentagono, prevede invece di aumentare il sostegno a Kiev come mezzo di pressione su Mosca tenendo aperta la porta a un futuro ingresso dell’Ucraina nella Nato.
Kiev non è completamente contraria alle trattative. Ieri, mediatori russi e ucraini si sono incontrati in Bielorussia per discutere il trattamento dei prigionieri e per compiere scambi di corrispondenza. Secondo diverse fonti, delegati dei due paesi sono in trattative per limitare i reciproci attacchi contro le reti energetiche. Ma anche sotto minaccia di perdere l’aiuto Usa, difficilmente Kiev accetterà qualsiasi condizione. Tra i due approcci che circolano a Washington, è chiaro qual è il favorito dagli ucraini. Nelle sue congratulazioni per la vittoria, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto di apprezzare la filosofia di Trump «pace attraverso la forza», sottolineando che la forza con la quale proteggersi dalle aggressioni è proprio ciò di cui l’Ucraina oggi ha bisogno e di cui, indirettamente, gioverebbero anche gli Stati Uniti.
Nel “piano per la vittoria” che Zelensky ha presentato a Trump a settembre sono state inserite diverse misure pensate proprio per attrarre l’attenzione del presidente eletto: dalla promessa di aprire le risorse naturali ucraine agli investimenti esteri e quella di utilizzare in futuro l’esercito ucraino per sollevare le truppe americane dai loro costosi compiti in Europa.
E cosa vuole Putin
Se per la Casa Bianca sarà relativamente facile spingere Kiev a sedersi al tavolo delle trattative, basterà minacciare il taglio agli aiuti militari, servirà un accurato mix di bastone e carota da persuadere Putin a fare altrettanto in un momento in cui le sue forze armate sono in ascesa.
Nel mese di ottobre, le truppe russe sono avanzate di una distanza record che non si vedeva dalle prime settimane del conflitto. Il territorio occupato di Kursk viene rosicchiato di giorno in giorno, ora anche con l’aiuto di un certo numero di truppe nordcoreane, mentre in Donbass i centri strategici di Kurakhove e Pokrovsk sono ormai sostanzialmente sotto assedio.
A dispetto delle sue parole, Putin non sembra aver fretta di negoziare. «Siamo pronti a trattative di pace, ma non sulla base di “Vogliamo questo e quest’altro” da parte dell’Ucraina, che cambia di mese in mese, ma sulla base della situazione reale…sul campo, oggi», ha detto Putin nel corso del forum di Valdai, la Davos della Federazione russa.
Secondo la maggior parte degli osservatori, le richieste minime di Putin non si distanzieranno molto da quanto chiesto durante i negoziati di Istanbul, nei primi mesi di guerra. Un’Ucraina neutrale, cioè fuori dalla Nato e senza garanzie militari equivalenti, è probabilmente la condizione numero uno, seguita dalla riduzione delle forze armate ucraine a un livello da non rappresentare una minaccia per la Russia (leggi: non sufficienti a difendere il paese). Putin inoltre potrebbe insistere sulla modifica di una serie di leggi in Ucraina, in particolare sulla lingua e la memoria storica, un boccone che per Kiev potrebbe rivelarsi particolarmente difficile da digerire. Infine, sarà sul tavolo anche una riduzione delle sanzioni.
Accettare tutte queste richieste equivarrebbe a una capitolazione di fatto alle richieste russe e non sarebbe facile da presentare come una vittoria negoziale per Trump, anche assumendo la quiescenza di Kiev, che resta tutta da vedere. Il presidente eletto, però, continua ad avere la pace in Ucraina nel mirino. Nel suo primo discorso dopo la vittoria ha dichiarato che metterà «fine a tutte le guerre». Come ha riassunto Sergey Radchenko, professore di storia alla John Hopkins, e autore di una lunga analisi delle prime trattative di pace avvenute tra Ucraina e Russia all’inizio dell’invasione: «Si è scelto un compito davvero arduo, signor Trump».
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