- Il ritiro della candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale coincide di fatto con la fine della sua vita politica. Si chiude così un periodo storico dei più pesanti e determinanti della storia repubblicana.
- Berlusconi ha cambiato modi e tenore della politica democratica, popolarizzandola e volgarizzandola; togliendole quella nobiltà che la lotta partigiana le aveva restituito.
- La stessa possibilità di averlo come candidato ha generato un moto opposto e contrario. E questo è anche un segno distintivo della sua figura politica e del tempo che ha marcato: il manicheismo, la qualità saliente della democrazia populista.
Le elezioni in corso del presidente della Repubblica saranno ricordate per gli inediti che le hanno accompagnate. Un fatto inedito è che un presidente del Consiglio entri nei programmi di incontri riservati con i capi politici dei partiti – farà parlare quirinalisti e storici. Ma c’è un altro fatto inedito più esplicito e palese negli esiti, che fa parlare noi: l’uscita di scena di Silvio Berlusconi che coincide con il ritiro della sua candidatura al Quirinale.
Di fatto si tratta della fine della sua vita politica. Si chiude così un periodo storico dei più pesanti e determinanti della storia repubblicana. Berlusconi ha cambiato modi e tenore della politica democratica, popolarizzandola e volgarizzandola; togliendole quella nobiltà che la lotta partigiana le aveva restituito. Il suo ingresso in politica è stato un voltar pagina a quel modo d’essere della politica di parte, dopo che i suoi maggiori protagonisti se ne erano andati, come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, o erano finiti in tribunale. Berlusconi ha voltato pagina su tutto questo. Oggi, la politica che lui ha contribuito a forgiare ha voltato pagina su di lui.
Una candidatura imbarazzante
Ingombrante come i dominatori, i suoi alleati devono averlo lavorato ai fianchi per indurlo a fare un passo indietro di tale portata. Lo ha fatto quel passo indietro, condendolo con la roboante retorica del sacrificio per il bene pubblico, nonostante avesse avuto i voti. Ma spiegando così al pubblico la sua uscita di scena, Berlusconi ha rivelato la sua debolezza. Se davvero aveva i voti per essere eletto presidente, perché presentare il suo ritiro come un servizio al paese? Non è questa un’ammissione di inadeguatezza? Un ritiro spiegato male, a coronamento di una scelta – quella di candidarsi – poco felice.
La sua candidatura è stata imbarazzante per molti, troppi, moltissimi – fuori del parlamento in modo particolare. Ha provocato documenti e lettere, raccolte di firme e interminabili discussioni per condannare una scelta che era tutto fuor che a favore del bene del paese.
L’uccisione dei partiti
Altro che divisivo! La stessa possibilità di averlo come candidato ha generato un moto opposto e contrario. E questo è anche un segno distintivo della sua figura politica e del tempo che ha marcato: il manicheismo, la qualità saliente della democrazia populista. Ha cambiato la politica nazionale, immettendovi il germe della faziosità radicale perché identificata con una persona, della contrapposizione che nessuna deliberazione ragionata può superare e correggere.
Come un veleno ad azione lenta ha ucciso i partiti, prima ancora che questi avessero consapevolezza della loro agonia e si premunissero per neutralizzarlo. “Per o contro” Berlusconi è stata per troppo tempo l’unica trincea che ha marcato l’identità politica. Un lascito pesante che queste elezioni per il presidente della Repubblica hanno messo in archivio. Non si può ancora dire se il manicheismo sia finalmente al capolinea. Di certo, d’ora in poi del manicheismo associato al nome di Berlusconi si parlerà al passato.
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