La premier italiana e la presidente della Commissione Ue Meloni hanno voluto imporre Fitto mettendo in imbarazzo lo stesso candidato, costretto a un esame scrupoloso del dna europeista durante il quale non poteva comunque rinnegare il partito originario
Comunque la si pensi sulle qualità politiche di Raffaele Fitto è evidente come le polemiche che lo riguardano trascendano il suo nome. Fitto è il dito, la luna è il rapporto mai risolto tra l'Unione europea e gli Stati che la compongono, indisponibili a cedere quote di sovranità nonostante le legislazioni nazionali siano obbligate a recepire le leggi comunitarie e dunque in cerca di rivincita per riaffermare un loro ruolo primario nel momento in cui si forma la Commissione, l'organo esecutivo.
Il dissidio sarebbe risolto se fosse chiaro ai governanti che nel mondo globalizzato dove la competizione è con potenze quali la Cina, la Russia, l'India, gli Stati Uniti e una serie di emergenti, nessuno stato del Vecchio Continente ce la può fare da solo se non altro per questioni meramente demografiche.
L'idea di un'Europa comune nacque del resto con questo presupposto in condizioni peraltro meno emergenziali delle attuali. La moneta unica doveva rappresentare il primo passo verso una vera unione politica se non fosse che, pressoché contemporaneamente al conio dell'euro, il vento sovranista ha cominciato a spirare, prima debolmente poi in modo sempre più fastidioso, in faccia a coloro che vedono come ineludibile il progetto dei padri fondatori.
Il primo alt fu la bocciatura della Costituzione europea da parte di Francia e Olanda, mentre sempre più spesso partiti ingrassati dal populismo hanno cominciato a rivendicare il primato delle nazioni sull'entità sovranazionale.
Le ultime elezioni europee hanno sì registrato un'avanzata delle destre comprese le componenti del tutto ostili a Bruxelles. Non sufficiente in ogni caso per mutare i rapporti di forza. Dalle urne è uscita una maggioranza di centro-sinistra che ha votato come presidente della commissione Ursula von der Leyen. Al contrario di quanto ha fatto Giorgia Meloni, risucchiata dal retaggio identitario e fortemente anti-europeista storicamente presente in Fratelli d'Italia.
Se avessimo accettato fino in fondo di riconoscere anche all'Europa le regole della democrazia, per le quali in un Parlamento si forma una maggioranza che governa, tutto sarebbe filato liscio. Salvo che Ursula von der Leyen, annusando lo spirito del tempo e vogliosa di coprirsi a destra per salvare comunque la sua poltrona, ha stretto un evidente patto con Giorgia Meloni per mettersi al riparo da eventuali franchi tiratori al momento del varo del suo esecutivo.
Ha accettato, lei che dovrebbe essere l'alfiere dell'europeismo, la logica del primato degli Stati nazionali, tanto più dell'Italia che in qualità di membro fondatore rivendica il diritto a una considerazione speciale.
Il pasticcio Raffaele Fitto nasce da qui. Dalla commistione tra due logiche inconciliabili che l'ineffabile Ursula ha voluto mischiare. In un “governo” di centro-sinistra viene candidato, e con il ruolo di peso di vicepresidente, un politico dello schieramento opposto. Estremizzando per chiarire il concetto, sarebbe come se Giorgia Meloni avesse accettato all'interno del suo esecutivo e in posizione cruciale un ministro del Pd.
C'era un'altra soluzione possibile? Ovviamente sì. E questo senza snaturare la legittima aspirazione dell'Italia ad essere comunque adeguatamente rappresentata. Si poteva, come è successo anche in passato, proporre il nome di un tecnico (ci sono stati, risalendo nella storia, Ferdinando Nelli Feroci, Mario Monti, Raniero Valli d'Archirafi, Cesidio Guazzaroni), oppure pescare nel bacino di Forza Italia, formazione a pieno titolo inserita nella parte centrista della maggioranza.
Meloni invece ha forzato su Fitto mettendo in imbarazzo lo stesso candidato, costretto a un esame scrupoloso del dna europeista durante il quale non poteva comunque rinnegare il partito originario. Come un Arlecchino servitore di due padroni. E finendo per creare quell'impasse di cui l'Europa non sentiva il bisogno soprattutto nel tragico momento delle due guerre alle porte e dell'elezione di Trump. Un pronostico: tutto si risolverà ma non a tarallucci e vino. E qualunque iniziativa presa da Fitto sconterà il pregiudizio del suo faticoso percorso.
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