Non c’è peggior sordo... Se sbagliare è umano, perseverare è diabolico... E potremmo abusare delle frasi fatte, o dei detti popolari, per descrivere la postura di Emmanuel Macron. Si può virare nella letteratura ed evocare il prode cavalier che non s’era accorto, andava combattendo ed era morto (politicamente s’intende).

Infine spulciare la storia di Francia e rievocare la Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, la quale probabilmente non disse la frase per cui è diventata famosa, ma le è stata attribuita perché verosimile: «Se non hanno più pane che mangino brioche», dove il soggetto sono i suoi sudditi.

Se i paragoni sono tutti zoppi, ci sono delle assonanze nel comportamento della regina ghigliottinata e del presidente di Francia e la maggiore è il disprezzo per le sofferenze del popolo, oltre che della sua volontà chiaramente espressa nelle urne, di voltare pagina. Il piccolo principe, il monarca repubblicano, l’inquilino dell’Eliseo con inclinazioni jupiteriste (da Jupiter, Giove), dopo aver suscitato tante speranze ed essersi proposto come colui che avrebbe ripristinato un certo ieratismo del potere (in opposizione al suo predecessore il presidente “normale” Francois Hollande), tocca il culmine dell’impopolarità e del suo declino senza prendere atto che, comunque vada, il suo tempo è scaduto.

Si ostina a tenere le redini del comando convinto di essere ancora il dominus di un Paese che gli è sfuggito di mano a causa dei suoi errori esiziali. Mentre torna dall’Arabia Saudita dove era per una visita di stato già programmata, relega non mondo della fiction l’ipotesi delle sue dimissioni prima della scadenza naturale del mandato nel 2017.

Bruciato dalle mozioni di censura (equivale alla nostra sfiducia) dopo soli due mesi il suo primo ministro Michel Barnier, impossibilitato a sciogliere di nuovo il Parlamento almeno fino a luglio, cerca di puntare sulla stessa formula appena abortita e consulta, mentre è in cielo per la poltrona di Matignon due personaggi «non così invisi» a Marine Le Pen, il ministro della Difesa Sébastien Lecornu, già tessitore degli accordi con l’estrema destra, e l’eterno centrista Francois Bayrou.

Ma Marine Le Pen è la stessa che in aula ha sepolto l’esecutivo che si reggeva sulla sua “non sfiducia” con parole definitive: «La politica peggiore sarebbe stata bloccare un simile bilancio». Bolla il governo come «effimero», beve l’amaro calice di un’alleanza di fatto con il Fronte di sinistra appoggiando la sua mozione pur «senza gioia nel cuore».

Macron iniziò nel 2017 con l’impegno di bloccare la Le Pen, si aggrappa a lei come un naufrago a un salvagente sgonfio, narcisisticamente convinto com’è di potersela cavare grazie a un carisma che non esiste più da tempo, da quando è stato chiaro che, al contrario delle promesse, il suo agire non è andato a beneficio di tutti i francesi ma ha guardato soprattutto ad accontentare i ricchi, peraltro la classe sociale da cui proveniva.

Si era illuso, con assoluto disprezzo della volontà popolare, che potesse funzionare la sua congiura di palazzo, la sua alchimia istituzionale quando, vittoriosa Le Pen alle elezioni europee, ha invocato un’alleanza del centro con la sinistra per metterla in un angolo. E una volta che la sinistra ha vinto alle politiche, con una piroetta da saltimbanco ha gettato al mare la sinistra per guardare in direzione opposta, varando un governo di assoluta minoranza del centro appoggiato alla benevolenza (sic!) dell’estrema destra.

Non poteva durare. E le due ali ugualmente ingannate si sono alfine coalizzate davanti a un legge di Bilancio inaccettabile e contro la quale già oggi si riempiranno le piazze di Francia per uno sciopero contro le riforme del governo più breve nella storia del Paese da oltre sessant’anni.

Questo è il quadro. Nessuno ne può gioire non solo per i destini della Francia. Nel mondo che è un vaso comunicante, e noi ne siamo oltretutto i vicini prossimi, l’abnorme deficit dello Stato, lo spread in costante rialzo, soprattutto l’instabilità politica di uno degli assi portanti dell’Europa, avranno conseguenze negative generalizzate.

La Francia passa dall’estate della gloria e dell’euforia olimpica all’inverno di ogni scontento e volge incollerita la faccia verso quell’inquilino dell’Eliseo che tante speranze aveva suscitato al suo apparire sulla scena salvo ora non essere nemmeno in grado indovinare il passo d’uscita.

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