- In età democratica, il parlamento ha generato una nuova classe politica che fa del servizio pubblico un’occasione di arricchimento avvicinando i rappresentanti alla parte più benestante del paese. Non c’è alcuna mente malvagia dietro questo sistema.
- Il problema sta nell’ordinamento della funzione parlamentare che facilita una traiettoria di corruzione politica, corruzione non perché si viola la legge, ma perché si creano regole che consentono alla classe politica di non fare bene o non fare affatto quel che ha promesso di fare.
- La questione Matteo Renzi non è una questione solo di Matteo Renzi. Riguarda tutti i parlamentari che, tutt’oggi, possono, se lo vogliono, fare quel che fa Renzi, ovvero lavorare prima di tutto per se stessi, poi per l’organo parlamentare.
In un libro uscito recentemente per Princeton University Press, Camila Vergara ha ricostruito una genealogia della corruzione politica mostrando come il governo parlamentare, nato per proteggere gli interessi dei sudditi contro i monarchi assoluti, ha finito per diventare una fucina di corruzione politica.
In età democratica, il parlamento ha generato una nuova classe politica che fa del servizio pubblico un’occasione di arricchimento avvicinando i rappresentanti alla parte più benestante del paese.
Non c’è alcuna mente malvagia dietro questo sistema. Il problema sta nell’ordinamento della funzione parlamentare che facilita una traiettoria di corruzione politica, corruzione non perché si viola la legge, ma perché si creano regole che consentono alla classe politica di non fare bene o non fare affatto quel che ha promesso di fare.
I populisti hanno trovato qui il loro argomento migliore, salvo voler semplicemente rimpiazzare l’esistente classe politica. La lotta contro la “casta” ha gettato fumo negli occhi ai cittadini.
In tempi di pochissima saggezza politica, il popolo italiano ha accettato entusiasticamente di tagliare il numero dei parlamentari senza preoccuparsi di capire come i rappresentanti gestiscono la loro funzione. Succede allora che la riduzione del numero di eletti non renda quelli rimasti più attenti a svolgere il loro servizio per il bene pubblico.
La questione Matteo Renzi e delle sue consulenze e dei finanziamenti alla sua fondazione non è una questione solo di Matteo Renzi. Riguarda tutti i parlamentari che, tutt’oggi, possono, se lo vogliono, fare quel che fa Renzi, ovvero lavorare prima di tutto per sé stessi, poi per l’organo parlamentare. Quando si votò il ddl Zan, il senatore Renzi era assente al voto perché in Arabia Saudita, dove lavora con il principe Bin Salman.
Alla base di questa forma di corruzione dell’etica politica vi è la regola per cui la funzione del parlamentare è considerata lavoro part-time, in Italia come in diversi paesi europei dove è anche consentito il doppio lavoro (Regno Unito, Francia, Germania, Spagna; diverso il caso statunitense, dove i rappresentanti non possono ricevere onorari per conferenze e incontri e le loro attività extra sono molto limitate e controllate). Durante il loro mandato, i nostri parlamentari possono o continuare le loro attività lavorative o accenderne di nuove (perdendo parte della loro indennità).
La loro funzione pubblica diventa anzi una straordinaria opportunità di trovare nuove opportunità, il parlamento come un vero e proprio ufficio di pubbliche relazioni per chi voglia fare altro dal rappresentare bene il popolo italiano. Questo ordinamento è alla base di molti scandali che coinvolgono i politici, proprio a causa delle loro attività extra parlamentari.
Da uno studio prodotto da Gagliarducci, Nannicini e Naticchioni nel 2010, il doppio lavoro dei parlamentari genera assenteismo e conflitto di interessi (nonostante le blande regole in vigore). Invece di decurtare il numero dei seggi, sarebbe stato opportuno far riscrivere i regolamenti parlamentari. Ma il tempo non è scaduto. La vicenza Renzi sia di monito per pretendere nuove regole.
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