- Milano: in mio amico dopo una festa di compleanno stava raggiungendo un’Enjoy. Nel giro di pochi secondi gli si sono avvicinati tre ragazzi, lo hanno accerchiato e hanno iniziato a dirgli, a voce crescente: gay gay gay.
- Alla fine è riuscito a raggiungere una bicicletta. Gli è andata “bene”: la paura e l’umiliazione avrebbero potuto essere ancora più grandi, capita che siano ancora più grandi.
- E tempo che voi politici vi facciate carico di questi problemi: mentre vi impegnate a cavalcare contrapposizioni ideologiche e inseguite la vostra convenienza politica noi restiamo corpi esposti.
Ieri sera, Milano, zona Martesana, ora non tarda. Un mio amico dopo una festa di compleanno stava raggiungendo un’Enjoy. Nel giro di pochi secondi gli si sono avvicinati tre ragazzi, lo hanno accerchiato e hanno iniziato a dirgli, a voce crescente: «gay gay gay». L’app non comunicava, la portiera non si apriva.
Il mio amico, testa bassa, non ha reagito. Ha continuato a guardare il telefono, sperando in una soluzione che non è arrivata. Poi, alzando lo sguardo, ha notato una bici a noleggio distante pochi passi. Tentando l’azzardo ha provato a raggiungerla. Ci è riuscito. Mentre iniziava a pedalare il più forte possibile i tre hanno preso a rincorrerlo e a urlargli «frocio di merda».
Gli è andata “bene”: la paura e l’umiliazione avrebbero potuto essere ancora più grandi, capita che siano ancora più grandi. Perché questo, e anche di peggio, ancora succede, nella città in cui abbiamo pensato che saremmo stati al sicuro, questo oggi – dato il problema sicurezza che Milano vive negli ultimi mesi – capita di sentire che succede, mentre ci dicono che ormai certe battaglie sarebbero immotivate, anacronistiche.
Una lobby
Che siamo una “lobby”, che dettiamo l’agenda culturale, generiamo dittature, censure. Coi miei amici ce lo scriviamo: abbiamo paura. Perché l’insicurezza pubblica e la tensione crescente espongono tutti, certo, ma i bersagli mobili di più.
È comprensibile che chi non l’ha sperimentato fatichi a capire, ma per la comunità Lgbtq+ (e le donne) lo spazio pubblico è ancora lo spazio dell’angoscia, della vulnerabilità presentita e poi incontrata. Ancora oggi, nella città italiana dei diritti, capita di dover aumentare il passo, chiedere all’amico di accompagnarti in auto, cercare rimedi per l’ansia di un incontro sbagliato.
Un altro ragazzo che conosco un mese fa è stato raggiunto da dietro mentre camminava, dopo cena, in via Vitruvio. Insulti, sberle, la catenina strappata. Ora sono terrorizzato, ci ha confidato su WhatsApp di recente.
A chi affossa le leggi e poi esulta, così come ai “progressisti” opportunisti e senza coraggio, andrebbe messo in chiaro, ogni giorno, che accanto ad aggressioni e suicidi, accanto alle notizie eclatanti, esiste una quotidianità diffusa e uniforme intessuta di emozioni che non dovrebbero circolare, nel 2022, in un paese cosiddetto civile.
Esiste un senso di gerarchia metabolizzato e penoso, che sappiamo essere sempre pronto, da un momento all’altro, a tramutarsi nell’irrimediabile, nell’incontro per cui non c’è soluzione: è tempo di farsene carico, è tempo che ve ne facciate carico.
Mentre vi impegnate a cavalcare contrapposizioni ideologiche e inseguite la vostra convenienza politica noi restiamo corpi esposti, abbandonati al baratro della vostra inettitudine, di un’irresponsabilità che legittima e protegge chi continua a vederci come odiose anomalie da raddrizzare, ovvero sopprimere.
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